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Alzheimer, sviluppato il primo farmaco al mondo che rallenta il declino cognitivo

Morbo di Alzheimer

La sperimentazione clinica sull'anticorpo monoclonale Lecanemab ha mostrato risultati incoraggianti, tuttavia ci sono aspetti da chiarire soprattutto in merito ad alcuni effetti collaterali

A soffrire di qualche forma di demenza sono oltre 55 milioni di persone nel mondo. In Italia i pazienti sono oltre 1,2 milioni, che si stima diventeranno 1,6 milioni entro il 2030. Nel 60/70% dei casi si tratta del morbo di Alzheimer (AD), malattia che interessa solitamente i più anziani (a partire dai 65 anni), ma può avere anche un esordio giovanile. L’AD colpisce la memoria e le funzioni cognitive, altera la capacità di parlare e di pensare, e può causare stati di confusione, continui cambiamenti di umore e disorientamento spazio-temporale. Questi problemi sono una conseguenza della neurodegenerazione, causata dalla formazione nel tessuto cerebrale di caratteristiche placche di una proteina chiamata “beta-amiloide” (placche amiloidi). Ad oggi purtroppo non esiste nessuna cura che permetta di guarire la malattia d'Alzheimer o di arrestarne la progressione. Tuttavia esistono diverse terapie che puntano a contenerne i sintomi e a mantenere più a lungo l'autonomia del paziente.

Una speranza per i pazienti con AD arriva da uno studio guidato da un gruppo di scienziati della facoltà di Medicina dell’Università di Yale che ha testato l’efficacia di un farmaco, Lecanemab (sviluppato dalle aziende biofarmaceutiche BiogenEisai) - che ha dimostrato di poter rallentare il declino cognitivo nelle persone affette da AD in fase iniziale. Tuttavia, mentre i risultati dello studio sono stati annunciati come "un momento storico per la ricerca sull'Alzheimer", gli effetti collaterali registrati durante la sperimentazione hanno suscitato non poche preoccupazioni e frenato l’entusiasmo inziale (i risulati preliminari erano già stati pubblicati a settembre). Lo studio è stato presentato nel corso della 15a conferenza “Clinical Trials on Alzheimer's Disease” e pubblicati sul New England Journal of Medicine.

Il ruolo della proteina beta-amiloide 

La beta-amiloide è una proteina che si trova nella membrana grassa che circonda le cellule nervose ed ha un ruolo importante nella crescita e riparazione dei neuroni. Quando si presentano alte concentrazioni di tale proteina (nelle persone non affette da demenza la concentrazione è > 500 ng/L, indipendentemente dall'età del paziente) c’è un alto rischio di sviluppare il morbo di Alzheimer, una malattia neurodegenerativa progressiva, caratterizzata da una graduale perdita di neuroni e sinapsi nel cervello.

Lo studio

I ricercatori hanno condotto uno studio (di fase 3) per valutare il rapporto rischi/benefici del farmaco Lecanemab su 1795 persone, tra i 50 e i 90 anni, con malattia di Alzheimer in fase iniziale (deterioramento cognitivo lieve o demenza lieve). I partecipanti sono stati assegnati in modo causale a due gruppi: 898 al gruppo di studio (che hanno ricevuto Lecanemab per via endovenosa (10 mg per Kg di peso corporeo) ogni 2 settimane per un anno e mezzo), e 897 al gruppo di controllo (che hanno ricevuto il placebo).

Il farmaco ha rallentato la progressione della malattia

La somministrazione di Lecanemab per 18 mesi ha abbassato i livelli della proteina beta-amiloide e ridotto del 27% il declino cognitivo e funzionale dei pazienti rispetto al gruppo placebo. Ciò significa che il declino cognitivo stava comunque evolvendo verso l’AD, ma con una velocità ridotta di circa un quarto. L’evoluzione dei sintomi è stata misurata sulla base degli esiti dei test cognitivi, oltre che del dosaggio di alcuni biomarcatori della malattia, tra cui i livelli di amiloide. Questo rallentamento della progressione della malattia, secondo i ricercatori, comporterebbe al paziente di vivere in autonomia per almeno un anno e mezzo in più. Un aspetto che dovrà però essere confermato da una sperimentazione più lunga. 

"Questa è la prima volta - ha dichiarato Susan Kohlhaas, ricercatrice presso l'Alzheimer's Research UK - che un farmaco ha dimostrato di ridurre la malattia e di rallentare il declino della memoria negli studi clinici. E' la prima volta che un farmaco fornisce una vera opzione di trattamento per le persone con Alzheimer in fase precoce. Sebbene i benefici clinici siano piccoli e portino in alcuni casi effetti collaterali significativi ci si può aspettare che diventino più evidenti se il farmaco viene somministrato per un periodo di tempo più lungo". Per avere conferma che la risposta migliori nel tempo, si attendono infatti gli sviluppi di questo lavoro come di altri che puntano a valutare l’efficacia dell’anticorpo monoclonale fino a cinque anni.

Come agisce il farmaco

Lecanemab è un anticorpo monoclonale che agisce prendendo di mira la beta-amiloide, e nello studio si è dimostrato efficace nel ridurne i livelli, ma anche di avere effetti benefici su altri segni distintivi dell'Alzheimer, inclusa la proteina Tau, che contribuisce anch'essa al buon funzionamento dei neuroni nel cervello. Quando non funziona correttamente, forma aggregati e depositi proteici che portano alla morte delle cellule nervose.

Gli effetti collaterali di Lecanemab

I risultati della sperimentazione, se da un lato sono molto promettenti, dall’altro hanno sollevato preoccupazioni per alcuni significati "effetti avversi", che hanno portato il 7% dei pazienti a dover interrompere la terapia. I dati conclusivi hanno mostrato che il 17,3% dei pazienti a cui è stato somministrato il farmaco ha avuto emorragie cerebrali, rispetto al 9% di quelli che hanno ricevuto un placebo. E il 12,6% di coloro che hanno assunto il farmaco, ha sperimentato gonfiore del cervello, rispetto a solo l'1,7% di quelli nel gruppo placebo. Il tasso dei decessi registrato è invece simile in entrambi i gruppi della sperimentazione. A tal proposito BiogenEisai hanno affermato che "la sicurezza dei farmaci è fondamentale, e per questo gli effetti collaterali saranno esaminati attentamente quando si deciderà se approvare o meno Lecanemab, per vedere se i benefici superano i rischi".

A inizio 2023, infatti la Food and Drug Administration (FDA), l'ente governativo statunitense che si occupa della regolamentazione dei farmaci, dovrà decidere se approvare con una procedura accelerata il Lecanemab, in modo da renderlo disponibile il prima possibile ai pazienti. In questo caso Eisai e Biogen dovranno procedere con ulteriori test clinici per dimostrare i benefici del farmaco, per ricevere le autorizzazioni necessarie. 

L'importanza di una diagnosi precoce

Sebbene i risultati dello studio siano incoraggianti, secondo i ricercatori c'è ancora tanta strada da percorrere, poichè il traguardo ultimo della ricerca è "non rallentare la progressione della malattia, ma riuscire a fermarla”. Inoltre il farmaco sperimentale Lecanemab si rivolge solo a coloro che si trovano nelle prime fasi della malattia con un certo livello di accumulo di amiloide, quindi il numero di persone che potranno goderne è limitato. E poiché l'Alzheimer non viene sempre diagnosticato rapidamente, i ricercatori ritengono sia necessaria una revisione della diagnosi precoce per garantire che più persone possano trarre beneficio da questo trattamento.

“I farmaci che eliminano l'amiloide sono solo una parte della soluzione - hanno affermato i ricercatori dell'Alzheimer's Drug Discovery Foundation (ADDF) -, pertanto è necessario sviluppare una nuova generazione di farmaci mirati a tutti gli aspetti della biologia dell'invecchiamento che possono essere combinati per affrontare l'intera gamma di patologie sottostanti che contribuiscono alla malattia. Ma sono importanti anche strumenti diagnostici nuovi ed emergenti di facile utilizzo che possano aiutare a individuare le cause specifiche alla base dell'Alzheimer di ogni persona, consentendo approcci terapeutici di precisione e migliorando le sperimentazioni cliniche”.