Sulla carta ne mancano sette, per arrivare alla maggioranza assoluta al Senato. Sette costruttori nuovi di zecca, che decidano di imbarcarsi in una nuova avventura. Nei tabellini dei pontieri — sorta di navigator formatori di «responsabili» — il numero non si materializza e pare lontano. Solo mezze promesse, abboccamenti, lusinghe private seguite da smentite pubbliche. A chi credere? A Palazzo Chigi e tra i costruttori l’aria che gira è quella di scoramento, per una battaglia che è diventata una drôle de guerre, una strana guerra di trincea dove ogni giorno si fa un passo avanti e subito dopo un passo indietro, restando dove si era. «Se va avanti così, siamo spacciati», dice uno dei costruttori.
Il governo giallo-bianco della Binetti
Conte non pare più intoccabile. Basti sentire Vincenzo Spadafora che esce da Montecitorio e dice: «Adesso Conte è il nostro candidato». Adesso? Il tempo della politica può essere fulmineo e «adesso» è già passato. Ma ci si crede ancora e si prova almeno a creare un gruppo autonomo. Anche se non ci fossero nuovi senatori che transitano dall’opposizione, un nuovo gruppo sarebbe fondamentale per avere la maggioranza alla capigruppo e contare di più nelle commissioni.
Il nuovo gruppo sarà formato da due componenti, il Maie e il Centro democratico di Tabacci, e si chiamerà probabilmente «Europeisti». Spiega Paola Binetti: «Il Maie lavora ai singoli senatori, il centro a un progetto politico, che potrebbe attrarre l’Udc e pezzi di Forza Italia. Dopo il governo giallo-verde e quello giallo-rosso, ora ne serve uno giallo-bianco, con una forte presenza centrista». La Binetti ci crede: «È un momento decisivo, anche perché per Mattarella sarà l’ultima scelta importante prima della fine del suo mandato». Dicono che la Binetti aspiri al ministero della Famiglia: «Non l’ho mai chiesto, e non credo che me lo chiederanno mai. Anche se alla Famiglia non ci sono candidati, mentre per l’Agricoltura c’è grande affollamento».
Il corteggiamento a Cambiamo
Affollamento che non c’è tra gli aspiranti responsabili. Un nuovo gruppo senza nuovi ingressi non basta per avere la maggioranza solida richiesta dal Quirinale. E allora si lavora per attrarre nuovi parlamentari. A dispetto delle voci, i senatori del gruppo Cambiamo — da Paolo Romani a Gaetano Quagliariello — smentiscono ingressi in maggioranza. Quel che si dice è che potrebbero farlo con un altro premier, non con Conte. E lo stesso avverrebbe con l’Udc, anche se la Binetti sembra meno incline di altri a sottilizzare. La verità, spiega un senatore al lavoro, «è che se Conte avesse preso il mandato esplorativo avremmo la fila di persone per entrare. Ma con le consultazioni i giochi sono aperti e anche il centrodestra resta compatto».
La vera carta da giocare sarebbe proprio quella di smembrare il gruppo di Forza Italia. Qui si continua a lavorare, mentre fioccano le smentite. Si parla di cinque, dieci senatori, ma nessuno ormai ci mette più la mano sul fuoco. L’unica certezza, o quasi, è il gruppo Maie-Cd. Potrebbe essere composto dai cinque già iscritti al Maie — il sottosegretario Merlo, De Bonis, Cario, Buccarella e l’ex FI Fantetti — a cui si aggiungerebbero De Falco, Ciampolillo, i due ex «azzurri» Causin e Rossi e Lonardo. Gira anche la voce che si stia provando a convincere un senatore del Partito democratico a cambiare casacca per aumentare il numero.
I numeri
Considerando che il nuovo gruppo dei responsabili (Maie-Cd) non è aggiuntivo della maggioranza, il pallottoliere rimane fermo a quota 154. Conte ottenne 156 voti alla fiducia, a cui aggiungere un parlamentare M5S positivo al Covid, ma a cui sottrarre 3 senatori a vita (Cattaneo, Segre, Monti): si scende a quota 154 senatori eletti, sette in meno della maggioranza assoluta. Senza contare, naturalmente, il possibile apporto dei 17 renziani, che è tutto da verificare, a fine consultazioni.
Il clima è pessimista, con qualche nota surreale. Come quella delle trattative per formare il gruppo Maie-Cd. «Stiamo definendo lo statuto, i membri e i ruoli», dice elegantemente Saverio De Bonis. «Stiamo litigando per chi farà il capogruppo», esplicita un altro, meno elegantemente. Un paradosso: litigare per il capogruppo quando ancora non c’è il gruppo.