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Claudio Lippi choc, la Rai blocca la collaborazione

Stop a qualsiasi tipo di collaborazione con Claudio Lippi: la presa di posizione di Viale Mazzini arriva di buon mattino, dopo la diffusione su diversi organi di informazione di dichiarazioni del conduttore ritenute "lesive della reputazione della Rai e dei propri dirigenti".

Una reazione netta e inequivocabile: ai vertici della tv pubblica non sono andate giù frasi come "basta con la propaganda dei Fazio e delle Annunziata. Basta con la kultura con la k", "meno gay e gaie" che in questi anni hanno lavorato in tv "solo per il fatto di esserlo"

Dichiarazioni choc, raccolte alla buvette della Camera. Cinque anni fa, ha raccontato Lippi - che le indiscrezioni di queste settimane hanno citato come uno dei possibili volti dei nuovi palinsesti Rai - Matteo Salvini e Giorgia Meloni gli hanno chiesto una mano: "Volevano avere un parere, uno sguardo esterno sulla Rai, da chi la tv la conosce". E ha risposto "che ci vuole il sorriso. La Rai deve entrare nelle case degli italiani dicendo 'buonasera'. Con leggerezza e intelligenza, non con la propaganda". Fazio e Littizzetto "se ne sono andati loro. Fazio ha raccontato bugie, dicendo che la pubblicità faceva incassare il triplo di quanto costava il programma. Ma se costava 450mila euro a puntata, incassava 1 milione e 200mila di pubblicità?". Secondo Lippi "Fazio è stato un farabutto: lui e la sua sorellina avevano già pronto un contratto milionario con Discovery. Ma sa che c'è? Basta pigiare il nove sul telecomando per vederli ancora, qual è il problema?". Quanto a Lucia Annunziata, la sua è stata "propaganda, 'kultura' con la k. Ora basta. L'ha vista l'intervista alla ministra Roccella? Cattiva, aggressiva. Non è Rai quella".

In Rai, a suo giudizio, "serve un linguaggio popolare. Giorgia (Meloni, ndr) è una 'popolana di Garbatella'. Ha vinto le elezioni parlando agli italiani e alle italiane. Serve quel linguaggio lì". Nel mirino anche l'ex responsabile dell'Intrattenimento di prime time: "Stefano Coletta, il direttore che per fortuna non c'è più, ha fatto lavorare gay e gaie solo per il motivo di esserlo". Quanto ai progetti per il futuro, ha parlato di "un programma, in prima serata su Rai1, lo vorrei chiamare Condominio Italia". E poi "Ieri, oggi, un vecchio format che parla di televisione, con spezzoni d'archivio".

Interpellato dall'ANSA, il conduttore oggi prova a correggere il tiro. "Ho subito un attacco alla mia privacy in modo maldestro e una grave lesione della mia immagine: sto valutando con il mio ufficio stampa e con i miei legali come contrattaccare". E dice: "Non mi riconosco nelle affermazioni che mi sono state attribuite: non userei la parola farabutto neanche per il mio nemico più acerbo e difendo con una lotta continua la libertà di scelta sessuale", sottolinea Lippi, 78 anni. "Sono una persona perbene. E sono anche un cittadino libero e decisamente schierato con il nuovo governo, formato da persone che conosco personalmente, a partire da Berlusconi, e dal rapporto personale con Salvini e Meloni. Ma non credo che si possa essere condannabili per queste idee". "Ho 59 anni di lavoro alle spalle, un pubblico che crede in me e nella mia onestà intellettuale e la difenderò fino alla morte", conclude Lippi, che già nelle scorse settimane aveva sollevato polemiche, ospite di Francesca Fialdini a Da noi... a ruota libera, su Rai1, dando del "primate" a un ragazzo del pubblico dalla folta capigliatura.

"È italiano?", gli aveva chiesto. "Ah è per metà brasiliano, ecco perché. Diciamo che sta sempre dal lato umano, cioè è un essere umano. Non è un primate". Plaude alla decisione di Viale Mazzini la consigliera di amministrazione Francesca Bria: "Un atto dovuto da parte della Rai interrompere la collaborazione: le affermazioni di Lippi non sono compatibili con la deontologia professionale e il codice etico dell'azienda". Per Carlo Calenda, quelle di Lippi sono frasi che "a nessuna persona con una voce pubblica verrebbe in mente di pronunciare in un paese occidentale. Il fatto che questo figuro non provi vergogna a farlo in Italia dimostra che c'è un enorme lavoro culturale da fare".