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Con o senza cravatta? Il dress code divide la Sala Rossa

COSTUME & POLITICA

Bocciata la proposta del radicale Viale che mirava a far cadere l'obbligo durante le adunanze del Consiglio comunale di Torino: "Retaggio di quando la politica la facevano solo gli uomini". La Sinistra vota a favore, determinante il No del Pd

Vabbè, l’abito non farà il monaco e neppure una cravatta distingue ormai un politico da un passante. Eppure, l’outfit d’ordinanza delle assemblee elettive continua a tenere banco. Oggi è stato il caso della Sala Rossa, l’aula del Consiglio comunale di Torino, che ha bocciato una proposta di delibera per modificare il Regolamento sul “decoro dei partecipanti alle adunanze”, con la quale il capogruppo della Lista Civica per Torino, Silvio Viale, chiedeva di abolire l’obbligo della cravatta e di equiparare le norme di abbigliamento per uomini e donne relativamente alla necessità di avere le spalle coperte.

“A Torino – ha detto Viale illustrando il provvedimento – c'è un conservatorismo anti-storico, perché la cravatta non è più un obbligo in tante istituzioni. L’obbligo di giacca e cravatta è un retaggio di quando la politica era prevalentemente maschile, la delibera chiede dunque di svecchiare il Consiglio ma anche di non fare differenze fra uomini e donne”. Insomma, épater le bourgeois sembra essere l’intenzione del ginecologo abortista e radicale che in gioventù vanta anni di militanza estremista in Lotta Continua, peraltro in sintonia con un più celebre fustigatore dei costumi borghesi, principe degli anticonformisti Leo Longanesi per il quale “non portare più la cravatta è un atto di indipendenza dai vincoli borghesi”.

D’accordo con Viale la capogruppo di Sinistra ecologista, Alice Ravinale, per la quale la proposta “va nel senso di un avanzamento e minor distacco della politica. L’obbligo di cravatta riporta inoltre a dettami di abbigliamento occidentali e la sua abolizione sarebbe utile per una città sempre più multietnica e che vuole aumentare il coinvolgimento di tutti nelle istituzioni”. Come nella storiella riportata da Mario Baudino su quel viaggiatore in procinto di morire di sete nel deserto a cui a un beduino invece di dargli da bere propone di vendergli una cravatta. Al suo rifiuto gli indica la strada per arrivare a una tenda dove trova alla porta un altro beduino, in smoking, che gli annuncia sussiegoso: “Qui dentro c’è tutta l’acqua che desidera”, salvo poi costernato aggiungere: “Ma senza cravatta non può entrare”.

Ad annunciare invece il voto contrario del Pd, il consigliere Pierino Crema, una carriera tra Pci-Pds-Ds-Pd e Cgil, che ha ricordato che “anche ai cortei dei lavoratori si è sempre messa la cravatta come simbolo di rispetto delle istituzioni”. Una lunga storia che da Turati in poi, dai capi dei braccianti ai leader operai, fino ai cachemire di Bertinotti, ha contraddistinto l’eleganza democratica. Anche se, va evidenziato, che i più impeccabili (e lugubri) al Primo Maggio sono da sempre i leninisti di Lotta Comunista. Alla fine della discussione, caratterizzata anche da uno scontro verbale fra Viale e il consigliere di Torino Bellissima Piero Abbruzzese, la cravatta è salva. Del resto, come diceva Honoré de Balzac “la cravatta ben messa è uno dei tratti di genio che non si analizzano né si insegnano: si sentono e si ammirano”.

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