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Così abbiamo pagato due volte i vaccini Covid

Il 14 dicembre del 2020 la FDA statunitense approva il primo vaccino contro il coronavirus Sars-Cov-2 che stava sconvolgendo il mondo: è prodotto da Pfizer-Biontech e sarà il primo di una lunga serie. Da AstraZeneca a Moderna, da Johnson&Johnson fino al cinese Sinovax e al russo Sputnik, con diversi gradi di efficacia, i vaccini hanno contribuito a decongestionare le terapie intensive e rendere il Covid-19 una malattia sicuramente più gestibile. Ma la narrazione che vede, quantomeno in Occidente, le grandi multinazionali del farmaco come protagoniste della ricerca è quantomeno incompleta. Anche perché il prezzo dei vaccini è gravato sulle spalle dei contribuenti sia in fase di studio e di produzione, che di acquisto.

Massimizzare gli utili a spese dei contribuenti

A riportare tutti con i piedi per terra e demistificare buona parte della narrazione che vede gli Stati salvati dai privati ci ha pensato uno studio promosso da un gruppo di ricercatori italiani commissionato dal Parlamento Europeo. I ricercatori si sono soffermati in particolare sulla ricerca e sullo sviluppo dei vaccini fondamentali per il contrasto alla malattia in Europa: Pfizer- Biontech, Astrazeneca, Jansenn (gruppo Johnson & Johnson), Sanofi, Moderna, Valneva, GSK. L’evidenza è che senza un massiccio finanziamento pubblico probabilmente non avremmo ancora un vaccino contro il Covid-19. A fronte di 5 miliardi di euro investiti dalle aziende per le attività di Ricerca e Sviluppo e 11 miliardi per gli investimenti produttivi, gli stati nazionali hanno investito circa 9 miliardi di euro per la ricerca e circa 21 miliardi di advanced purchase agreements, ovvero di promesse di accordi di acquisto prima che i vaccini venissero effettivamente prodotti e si avessero reali riscontri sulla loro efficacia e sulle loro criticità.

Riassumendo: il pubblico ha messo complessivamente quasi il doppio dei soldi investiti dai privati, senza però esercitare nessun controllo sui prezzi di vendita dei vaccini con accordi che, in molti casi, sono rimasti segreti per mesi. In sostanza è come se i contribuenti avessero pagato due volte: la prima per finanziare la ricerca, la seconda per acquistare a prezzi non calmierati, prodotti farmaceutici realizzati anche grazie ai loro soldi.

Una storia che si ripete

“In sintesi, la maggior parte del rischio finanziario che ha consentito la realizzazione dei nove vaccini esaminati è stata assunta dal settore pubblico, non dalle imprese” commenta Fabrizio Barca, co-coordinatore del Forum Disuguaglianze e Diversità .“Questo dato nega, in primo luogo, che gli elevatissimi extra-profitti realizzati dalle imprese farmaceutiche nella vendita dei vaccini che, per alcuni di essi hanno raggiunto decine di miliardi di euro per singola impresa, siano in qualche misura giustificati dal rischio di mercato da loro assunto. Un rischio due volte maggiore è stato assunto dagli Stati con mezzi delle persone contribuenti (di oggi o di domani). Ma a fronte di tale rischio gli Stati non hanno esercitato la funzione di governo e controllo delle decisioni di prezzo e distribuzione che competono a chi si assume la maggioranza del rischio”.

Un eccesso di risorse finanziarie con la quale gli stati avrebbero potuto, ad esempio, rafforzare i sistemi sanitari nazionali e che rischia di aggravarsi ulteriormente anche oggi. Moderna e Pfizer hanno annunciato di volere quintuplicare il prezzo a dose portandolo a circa 100 dollari dagli attuali 20, e che l’immunizzazione dura solo pochi mesi. 

“Occorre un intervento pubblico europeo per prevedere e affrontare le prossime pandemie e per altre emergenze già visibili - osserva Massimo Florio, tra gli autori dello studio - in campi cruciali per la salute, serve la messa a punto di farmaci, vaccini, diagnostica e altri rimedi, da offrire ai cittadini come beni comuni: con Ricerca e Sviluppo anche in collaborazione con imprese private, ma mantenendo fermamente sotto controllo pubblico le decisioni strategiche su tutto il ciclo dell’innovazione biomedica e del farmaco in quei campi”. 

Parole che suonano come un’evidenza, una delle tante lezioni che la pandemia dovrebbe averci insegnato. Ma, per dirla come il grande poeta italiano Eugenio Montale, troppo spesso: “La storia non è magistra di niente che ci riguardi”.