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Debito pubblico: maggiori controlli e più attenzione alla spesa, soprattutto quella corrente. Cosi parlò Gentiloni

Giovedì le zone della Romagna stravolte dalle alluvioni dell’ultimo periodo, hanno ricevuto la visita, o meglio il sorvolo, della Commissaria europea von der Leyen, accompagnata dalla Premier Meloni. Si può così affermare che la Ue c’è e lo dimostra con i fatti. Se non si è senza freni inibitori, come invece qualche volta la rappresentanza politica italiana, sia quella che opera a Roma che quella attiva a Bruxelles, ha fatto trasparire, la fattività e l’efficienza della Comunità finora ha dato senza riserve buona prova di sè. Mercoledì l’ex Premier Gentiloni, Commissario per l’ Economia, da Bruxelles ha fatto sapere ufficialmente che il “suo” Paese sta destando qualche perplessità in quel consesso. Essa muove dall’ esecuzione non proprio tempestiva di quanto ha chiesto di fare la Commissione al momento dell’approvazione del Pnrr. Ciò nonostante, senza alcuna esitazione, quello stesso Commissario ha fatto sapere che le spese necessarie a rimettere in piedi la Romagna non saranno considerate come ulteriore aumento del debito pubblico. Ha aggiunto che la motivazione di quella decisione scaturisce dall’essere quel disastro un fatto eccezionale, almeno quello è l’augurio. Ciò crea un precedente se e quando, non sia mai, dovesse ripetersi qualcosa del genere in un altro paese della casa comune. Dopo il sopralluogo di ieri, la signora von der Leyen dovrà riferire alla Commissione da lei presieduta lo stato in cui versano persone, animali e cose di quella terra martoriata per concretare l’ intervento della Ue. Lo stesso dovrebbe essere molto simile a un atto di mutualità, non di sola solidarietà. Quindi un compito istituzionale del soggetto de quo, dotato di autonomia decisionale e operativa. È probabile, oltre che augurabile, che la concretizzazione di quell’intervento possa esser resa nota a stretto giro. Senza contare che le espressioni di solidarietà, accompagnate da dichiarazioni di voler collaborare materialmente con l’Italia, dovrebbero diventare concrete al più presto. Andrebbero a restituire quel suo pezzo, peraltro particolarmente fecondo, alla normalità, quindi a ritornare efficiente e operativo. Tutto ciò mentre la forza devastante della natura non ha ancora esaurito la sua grande potenza e i problemi che ne derivano, tipo l’ incubo della possibilità che scoppino epidemie, contribuiscono a tenere i suoi abitanti con il fiato sospeso. Fin qui sembrerebbe che, seppure con tutta la negatività che è connaturata con quanto è accaduto, tutto stia procedendo all’ incirca come da copione. Eppure questa suonata di pianoforte a più mani, salita di tono dalla prima metá di questo mese, è caratterizzata dalla cacofonia se non da vere e proprie stecche che la parte italiana dell’orchestra europea sta oramai prendendo da un pò di tempo. Si tratta della mancata sottoscrizione da parte del governo, unico e solo tra gli altri partner, del provvedimento di modifica del Mes, il cosiddetto Fondo Salvastati. La vicenda, volendola osservare con i necessari filtri, autorizza le argomentazioni più spericolate, tutte basate più su argomenti che ricordano la cabala che su motivi reali.
Lo spirito non è visto di buon occhio di questi tempi, ma se qualcuno dovesse sarcasticamente dire che l’ Italia non vuole che si attivi il MES, chiedendo contemporaneamente di poter attingere dal FES, seppure con l’ aiuto di un pò di piume, riuscirebbe almeno a far sorridere. E’ bene ricostruire, anche se a grandi linee, la genesi di quel fondo salvastati. Fu intorno alla fine del primo decennio di questo terzo millennio che alcuni paesi membri della Ue vennero a trovarsi con i bilanci stravolti da fatti negativi che difficilmente avrebbero potuto ottenere adeguata soluzione, ricorrendo i rispettivi governi unicamente alle proprie risorse. La Ue creò allora un fondo salva stati, che di li a poco finì inglobato nel neonato Mes. Due particolari di sostanza: il primo, che la crisi non si manifestò solo in Grecia, quindi nel lato a sud della Casa Comune, a cui fa da piscina il mar Mediterraneo. Diede segno di se anche in altri paesi della Comunità nella parte centrale del continente, fino a arrivare più a nord, in Irlanda. Non fu quindi un qualcosa correlato alla latitudine di quei luoghi, ma una fase negativa del ciclo economico in generale. Strano ma vero, all’epoca dei fatti l’ Italia, terza dopo Germania e Francia per esborso finanziario, diede prova di particolare condivisione del progetto Mes. Allo stato la vicenda è impantanata- di questi tempi…- nei palazzi romani senza un benché minimo, plausibile e verosimile, motivo. Così lo stesso non può iniziare a funzionare mentre alcuni paesi avŕebbero necessità di poterne usufruire fin d’ora. Certo in tal modo il Paese non mostra la sua migliore immagine, rimanendo attestato rigidamente sulle sue posizioni. Vale la pena ricordare che, al di là dell’Atlantico, quando si è trattati con particolare premura, il beneficiario di quel comportamento, oltre a ringraziare, dice all’interlocutore di essere in debito e che ricambierà alla prima occasione. Il codice comportamentale, soprattutto nel bacino del Mediterraneo, fa lo stesso, ma in forma antitetica. Chi dovesse subire un torto dice a chi glielo ha fatto: “queste sono azioni a rendere”, accompagnandolo con il corollario “conserverò il miele per quando avrò la tosse”. Per ora la Ue sta adottando la versione a stelle e a strisce e l’augurio è che ciò possa durare.