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Désirée Attard, attivista maltese: «La nostra lotta per il diritto all'aborto»

Malta è il solo Paese dell’Unione Europea in cui l’aborto è illegale in tutte le circostanze, inclusi i casi di stupro, incesto, anomalie fetali o rischi per la salute della madre. La battaglia perché nell'isola arrivi questo diritto (a rischio in questi anni in molti altri paesi del mondo) è combattuta anche da Désirée Attard, attivista e avvocata, che ha portato avanti lotte per i diritti arrivando all’introduzione dell’uguaglianza matrimoniale e la parziale depenalizzazione della cannabis nel paese. «Quello che ho sempre visto essere efficace è fare campagna sul campo e comunicare sempre il tuo messaggio in un modo che sia compreso e sentito da tutti. Le campagne di maggior successo hanno risonanza con la maggioranza, anche se non hanno necessariamente un impatto sulla maggioranza» spiega alla vigilia del Festival di Internazionale a Ferrara di cui è ospite.

Francesco Alesi

Malta è vista come fanalino di coda, ultima in Europa. Cosa impedisce al paese di avere una legge che permetta l'interruzione di gravidanza?
«Ci sono una serie di elementi che insieme, stanno arrestando, o almeno rallentando, il progresso su questo fronte. In primo luogo, c'è una forza conservatrice nella società maltese che guarda all'aborto come se fosse l'ultima frontiera, la più grande battaglia per preservare quello che credono sia lo "spirito cattolico maltese", anche se quello spirito è fortunatamente cambiato e si è evoluto nel tempo. Questo gruppo fa forti pressioni sui politici per garantire che lo status quo sia mantenuto, almeno quando si tratta di salute riproduttiva e scelta».

Quali altri elementi?
«In secondo luogo, la lotta contro la scelta riproduttiva è ovviamente radicata anche nella misoginia: purtroppo questa è ancora molto presente nella società maltese, che è ancora prevalentemente patriarcale nei suoi ruoli e stereotipi di genere, e riporta costantemente un numero relativamente alto di violenze di genere contro le donne, in particolare la violenza domestica. In terzo luogo, c'è un effetto raggelante su molti, in particolare quelli che lavorano in medicina, che trovano molto difficile parlare a favore della scelta riproduttiva, temendo ripercussioni sulla loro carriera. L'argomento è ancora molto tabù e, quando viene discusso in forum pubblici, il dibattito è spesso pieno di disinformazione».

Esiste un movimento femminista e in generale popolare a favore di una legge più permissiva sull'aborto? Da fuori sembra non esserci.
«Per fortuna sì, e sta crescendo. Proprio il mese scorso, una manifestazione in onore della Giornata dell'aborto sicuro ha visto la partecipazione di centinaia di persone, una folla molto numerosa per il paese e per l'argomento. Ero entusiasta di far parte di una folla così energica, entusiasta, desiderosa di cambiamento. Ciò che mi dà speranza è il fatto che attivisti provenienti da diverse ONG a Malta si stiano unendo per questa importante causa e un forte movimento femminista stia infrangendo il tabù che circonda la questione».

Le posizioni e le leggi che limitano la possibilità di abortire arrivate negli ultimi anni in alcuni paesi europei e negli Usa che pesano hanno? Quanto influenzano anche gli altri? Questa tendenza si può dire in crescita? Quali timori suscita in lei?
«Considero Malta ferocemente nazionalista sotto questo aspetto: la legislazione locale è raramente influenzata dagli sviluppi internazionali quando si tratta di questioni così delicate. In particolare sull'aborto, la questione è vista come molto locale, quasi familiare. Lo considero positivo in una certa misura, in particolare vista la recente regressione dei diritti a livello internazionale. D'altra parte, sviluppi come quelli in Irlanda nel 2019 hanno stimolato noi attivisti: se l'Irlanda, una piccola isola cattolica come Malta, può farlo, allora possiamo farlo anche noi».

La cannabis legale è vista come una tematica minore rispetto ad altre problematiche. Almeno in Italia c'è spesso la replica: "Abbiamo problemi economici più importanti". Perché invece ci dovremmo occupare di questo diritto?
«A mio avviso, questo è un errore retorico utilizzato dalle forze conservatrici per bloccare i cambiamenti che non vorrebbero vedessero accadere. Non possiamo fare entrambe le cose? I responsabili dell'economia sono anche quelli che redigono leggi e politiche sulla cannabis? Ovviamente no. La legalizzazione della cannabis è una questione di giustizia sociale, che ci consente di impegnarci in un dibattito onesto e aperto sull'argomento, apre le porte a una migliore salute pubblica, consente la libertà di scelta e potrebbe anche stabilire nuovi flussi economici di entrate. Non abbiamo bisogno di mettere problemi l'uno contro l'altro».