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Dopo il quite quitting arriva il «quiet firing», ecco che cosa è il licenziamento silenzioso

Dopo che il quite quitting (i lavoratori che fanno il minimo indispensabile di quello che ci si aspetta da loro sul lavoro), si è diffuso viralmente sui social media, la rete ha coniato un nuovo termine per un'altra pratica, ugualmente passiva e aggressiva, e che sta generando molto buzz: il «quiet firing», ovvero il licenziamento silenzioso. L'influencer americano DeAndre Brown è stato uno dei primi a menzionare il termine in un video di TikTok in cui descrive il «quiet firing» come un datore di lavoro che non premia un dipendente per i suoi contributi in azienda, costringendolo a dare le dimissioni. 

Dopo che l'hastag #quietfiring ha conquistato più di 11 milioni di visualizzazioni, anche il Times ne ha parlato citando un recente rapporto del Pew Research Center che indica nella retribuzione bassa e le scarse opportunità di crescita le motivazioni principali che hanno portato alla famigerata great resignaction. In Italia non siamo messi meglio. Dalla recente indagine InfoJobs Attraction & Retention emerge un generale malcontento, tanto che l’80,9% dei rispondenti non consiglierebbe a un amico/conoscente l’azienda per la quale lavora a causa dell’ambiente di lavoro poco stimolante (52,1%) o di stipendio e benefit poco soddisfacenti (28,8%). 

L'idea che un datore di lavoro può costringere effettivamente un dipendente a dimettersi non è del tutto nuova e rientra sicuramente nello spettro del mobbing, un insieme di atti persecutori o aggressivi che vengono esercitati da uno o più individui sul posto di lavoro nei confronti di un soggetto con l’intento di emarginarlo, screditarlo o umiliarlo. 

Sul come contrastare il fenomeno i career coach generalmente concordano sul fatto che il modo migliore per affrontare questa insoddisfazione consiste nell'essere trasparenti e nell'affrontare di petto la situazione. Alla base del «quiet firing» c'è una scarsa comunicazione, suggerisce al Times Jessica Kriegel, Chief Scientist of Workplace Culture presso Culture Partners. «Se un manager evita i conflitti o ha paura di avere una conversazione difficile, allora potrebbe non avere il coraggio di dire la verità su come sei percepito all'interno dell'organizzazione e sul lavoro che stai facendo».

Si allinea il suggerimento di Janice Gassam Asare, una consulente per l'inclusione aziendale: «Se pensi di subire un quiet firing, parla con il tuo capo, fai presente il problema e unisciti ad altre persone, che hanno le tue stesse esigenze o che sono alla ricerca di cambiamenti sul posto di lavoro e poi concediti un po' di tempo e vedere se tali modifiche vengono effettivamente apportate».

E sul fatto che più dialogo e schiettezza aiutano nell'instaurare rapporto di fiducia e duraturi, lo hanno capito anche le aziende. Sempre secondo l'indagine di Infojobs le aziende sono consapevoli che bisogna modificare l’approccio culturale della propria impresa, ascoltando maggiormente (31,2%) e dialogando costantemente per trovare punti di incontro per tutte le parti (25%). Un punto su cui si è soffermato anche Filippo Saini, Head of Job di InfoJobs a margine dello studio: «Gli investimenti sulle persone hanno assunto una rilevanza centrale. Dal nostro punto di vista di realtà che unisce domanda e offerta, crediamo che l’attuale momento storico rappresenti una grande opportunità per la costruzione di modelli di collaborazione e ambienti di lavoro che rispondano efficacemente alla nuova sensibilità e alle sfide del futuro di tutte le parti sociali». 

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