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Dopo Papa Francesco? Si aprirà il Conclave più difficile della storia

In Vaticano non c’è solo un piano B per i riti della Settimana Santa. La permanenza di papa Francesco al Policlinico Gemelli, durata 66 ore a causa di un’infezione respiratoria subito sedata, ha fatto ripartire il toto-nomi sul suo successore. Come spiega Massimo Franco sul Corriere della Sera, è iniziato il Conclave ombra che sceglierà il prossimo papa. Ma papa Francesco non sembra voler lasciare la guida della chiesa troppo presto: «Non si governa col ginocchio» ha confessato qualche mese fa, e ai gesuiti della Repubblica democratica del Congo, lo scorso febbraio ha spiegato: «Io credo che il ministero del papa sia ad vitam […]. Se invece stiamo a sentire il chiacchiericcio, beh allora bisognerebbe cambiare papa ogni sei mesi».

Eppure il chiacchiericcio continua Oltretevere. Ha anticipato il ricovero del papa la dichiarazione rilasciata al Corriere della Sera da monsignor Georg Gänswein, autore, insieme al giornalista Saverio Gaeta, del libro-confessione Nient’altro che la verità - La mia vita al fianco di Benedetto XVI. L’ex segretario particolare del papa tedesco ha, infatti, detto: «Credo non pochi cardinali avrebbero vissuto bene se Angelo Scola fosse stato Pontefice». L’arcivescovo emerito di Milano, oggi fuori dai giochi per sopraggiunto limite d’età, era tra i favoriti nel Conclave del 2013, come dimostrò la gaffe clamorosa dei vescovi italiani che, appena eletto Bergoglio, inviarono per errore un telegramma di felicitazioni per «l’elezione del cardinale Angelo Scola a successore di Pietro». Certamente dalla Costa Rica, dove monsignor Georg sarà spedito come nunzio apostolico, i malumori romani potrebbero calmarsi. Papa Francesco è insofferente al chiacchiericcio, come ha fatto intuire anche Gänswein: «Ogni mia frase su questo potrebbe essere interpretata come una manifestazione negativa nei confronti dell’attuale Pontefice. E come le ho detto, a Santa Marta c’è grande sensibilità».

Nella Curia, però, sono in molti a pensare che fra il chiacchiericcio e l’insofferenza ci sia una certa differenza. La pensava così George Pell, il cardinale australiano stretto collaboratore di Bergoglio, morto lo scorso gennaio per le complicazioni di un intervento chirurgico. Subito dopo la sua morte, il vaticanista Sandro Magister ha rivelato che era stato lui a scrivere un memorandum che criticava senza se e senza ma il pontificato di Francesco - «questo pontificato è un disastro sotto molti o più aspetti, una catastrofe» -, fatto circolare fra i cardinali in vista del prossimo Conclave. Il nome del cardinale australiano, stretto collaboratore del papa, mostra che anche i più vicini a Francesco possono cambiare idea o diventare forti critici, e c’è chi già comincia a preoccuparsi su come posizionarsi nel post-papa Francesco.

«Tutti quelli che hanno vissuto all’ombra del papa, stanno già pensando a chi potrebbe essere il prossimo» si sussurra all’ombra del Cupolone. La sfida è trovare la giusta equidistanza tra il pontefice in carica e il suo successore. Serpeggia lo scetticismo su un prossimo papa gesuita, i più critici non voteranno più un cardinale che proviene dalla Compagnia di Gesù. Ma non solo. Restano dubbi anche sulla sua provenienza. I cardinali creati in questo decennio da papa Francesco provengono da oltre 50 nazioni, ma tanti di loro si sono conosciuti la prima volta nel Concistoro dello scorso agosto, e questo aggiunge un elemento di imprevedibilità al prossimo conclave. È probabile che gli occhi saranno puntati alla «fine del mondo», ma sono in pochi a scommettere su un successore latinoamericano. Più di tutti, peserà un fattore: se Francesco sarà emerito oppure papa fino alla fine. Bergoglio non sembra intenzionato a seguire la strada di Benedetto XVI, visto che la carica di papa emerito non è stata ancora codificata. Però, se si dimettesse per ragioni di salute, la sua presenza nelle congregazioni pre-conclave potrebbe influenzare le cordate nel Sacro collegio.

Per la prima volta, in un Sacro collegio così globale non saranno decisive le correnti che fanno capo a un cardinale specifico: «Le cordate sono, piuttosto, le grandi domande» riferiscono fonti vaticane. Sarà un papa di continuità o di rottura? Extra-europeo o europeo? Di quale Europa? Solo alla fine di questo diagramma ad albero si farà strada uno spazio di probabilità con un nome. Il nuovo ordine internazionale dopo l’aggressione russa in Ucraina – assicurano – sarà motivo di scontro. La sede vacante si aprirà con la guerra ancora in corso oppure coi nuovi equilibri geopolitici? Nel corso del Novecento, la chiesa ha eletto papi in tempi di guerra, ma nel nuovo millennio alla guida della chiesa cattolica si richiede un leader capace di districarsi nei nuovi equilibri geopolitici: sarà un pacifista o appoggerà la real-politik? In questo senso, due nomi emergono: si tratta dei due cardinali italiani Pietro Parolin e Matteo Maria Zuppi. Segretario di stato vaticano, Parolin è il più diplomatico: «Chi si prepara a servire il papa nella diplomazia è chiamato ad assumere uno sguardo universale, a “respirare” – direi – al ritmo dell’universalità» confessò lui stesso nell’intervista rilasciata a Limes (Così la Chiesa pensa il mondo), una sorta di manifesto della diplomazia vaticana, che nel caso russo ha finora dato pochi frutti.

Più pacifista il secondo italiano “papabile”, don Matteo Zuppi. Simbolo della chiesa che unisce diplomazia ad accoglienza, nello spirito della Comunità di Sant’Egidio da cui proviene, l’arcivescovo di Bologna è la perfetta sintesi tra il prete di strada e il curiale che sa districarsi nelle stanze dei bottoni. Sebbene in passato abbia ammesso di essere stato un diplomatico per caso, è diventato il nome di punta della diplomazia silenziosa di Sant’Egidio dal 1992, quando riuscì a negoziare la pace in Mozambico. Con papa Francesco, la comunità battezzata «Onu di Trastevere» ha avuto un grande peso in Vaticano: non solo il suo fondatore, Andrea Riccardi, è un sodale del papa, ma da Sant’Egidio provengono sia il portavoce della sala stampa, Matteo Bruni, che il presidente della Pontificia accademia per la vita, monsignor Vincenzo Paglia. Ma invocare la pace – condizione auspicata da tutti, specialmente i cattolici – non è così semplice. In una recente intervista a Il Manifesto, l’arcivescovo di Bologna si domandava se la legittima difesa avesse un limite nel caso degli aiuti umanitari. Domanda che ha spinto Luis Badilla, direttore del sito Il Sismografo, sempre bene informato sul sentiment nelle sacre stanze, a giustapporre le sue dichiarazioni con quanto riporta il Catechismo sul «diritto di usare anche le armi per respingere gli aggressori della comunità civile affidata alla loro responsabilità».