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Emanuela Orlandi, memoriale di Marco Fassoni Accetti, testo completo 1, ritorno di fiamma dopo Netflix, documento di 8 anni fa su Blitz, seconda parte

Emanuela Orlandi, il testo del memoriale di Marco Fassoni Accetti, 2,
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Emanuela Orlandi, seconda parte del memoriale del 2014 di Marco Accetti, in arte Marco Fassoni Accetti.

Emanuela Orlandi, il memoriale del 1980

Nei primi mesi dell’80, presso alcuni ecclesiastici vicini al Pontefice fu rinnovata l’informazione di un possibile attentato da parte del KGB. Informazione come sempre posticcia e tendente ad ottenere attraverso la minaccia il blocco dei finanziamenti alla cellula radicale polacca.
Nell’estate del 1980 un membro della nunziatura in Turchia, appartenente all’area cultural – politica di monsignor Bakis, già nunzio apostolico nella stessa nunziatura negli anni precedenti, fu contattato da un esponente del Pol – Der (Sindacato di polizia con orientamento di sinistra) che lo mise al corrente dell’esistenza all’embrione di un progetto di attentato al Pontefice da parte degli idealisti turchi, come reazione ad un assalto contro le strutture della Mecca di un gruppo di fondamentalisti verificatosi nel novembre precedente del ’79, e i cui mandanti si riteneva fossero da ricercare in presunte intenzioni cristiano – occidentali. Questo assalto era stato preceduto di pochi giorni dall’annuncio dell’intenzione di Papa Giovanni Paolo II di recarsi in visita nella stessa nazione turca.

Decidemmo di sfruttare questa informativa per i nostri fini di pressione, e la comunicammo ad uno dei membri della delegazione della Pontificia Commissione per le Comunicazioni Sociali, in quel momento presente in Turchia, facendo credere che all’origine di tale progetto di attentato non vi fosse la reale motivazione di una reazione all’assalto contro la Mecca e concomitante visita del Pontefice, ma bensì l’istituzione del KGB, che indirizzava gli idealisti turchi a compiere un attentato con la falsa motivazione che, come riferivano in quel tempo alcune fonti islamiche ed iraniane che, ad apparire a Fatima non fu la cattolica Vergine Maria, ma bensì una delle figlie di Maometto. Questa nostra manipolazione fu eseguita anche per contrastare monsignor Hnilica, gesuita slovacco, che tra l’altro scrisse un libro in cui raccontava l’attentato al Papa, tra Fatima e l’Unione Sovietica, la cui prima uscita fu in Germania, credo nel 1982 o 1983. Costui zelava per la consacrazione della Russia attraverso un continuo ispirarsi alla realtà di Fatima e massimamente indirizzava finanziamenti (attraverso la sua fondazione, ente morale, Pro Fratribus, con sede in Grotta Ferrata) al già detto nucleo radicale polacco che si stava formando nel territorio della Germania Federale.

Presidente della Pontificia Commissione per le Comunicazioni Sociali era monsignor Deskur, intimo conoscente del Pontefice, con il quale sapevamo ch’era spesso uso ad intrattenersi telefonicamente, specialmente la sera. Per il tramite di detto monsignor Deskur noi informavamo il Pontefice del predetto tentativo di attentato in germe. monsignor Deskur fu sostituito da un sacerdote scozzese, Andrew. Cercammo di controllarlo attraverso le conoscenze di monsignor Backis, il quale prima di essere nominato sottosegretario si occupava di fatti riguardanti la Gran Bretagna. Nell’autunno, durante la visita del Pontefice presso l’Università Urbaniana al Gianicolo, una nostra persona della Congregazione De Propaganda Fide entrò in contatto con esponenti vicini all’entourage papale rinnovando l’avviso dell’attentato. La scelta dell’università Urbaniana fu operata non tanto perché sede di una nostra persona della Congregazione De Propaganda Fide, ma per la vicinanza a Villa Abamelek, sede dell’ambasciatore sovietico. Fu fatto credere che l’ecclesiastico di De Propaganda Fide ricevesse informazioni da un addetto diplomatico della villa suddetta.

Stesso avviso lo facemmo pervenire attraverso alcuni membri dell’organizzazione turca di sinistra Dev – Sol, spacciatisi per appartenenti ai Focolari Idealisti, alle autorità della Germania Federale durante la visita del Pontefice in questa nazione. Nel corso di questa occasione il Pontefice, rispondendo a delle domande giornalistiche dimostrò di essere al corrente dell’influenza da noi esercitata nel creare un allarme e una suggestione attraverso il possibile attentato legato all’evento di Fatima.
Nel corso del 1980 il Segretario di Stato Card. Casaroli chiese al Pontefice l’opportuna rimozione di monsignor Marcinkus dalla presidenza dell’Istituto Opere di Religione. Ma gli fu risposto che stante la grave crisi politica in Polonia si sarebbe dovuto soprassedere.

Convertimmo il ruolo che sarebbe spettato alle due signore per le pressioni su Marcinkus nella scelta di due giovani ragazze ed un ancor più giovane ragazzo, per richiamare le figure dell’episodio di Fatima. L’uso di queste simbologie estreme avrebbe dovuto contribuire al condizionamento di monsignor Hnilica minacciandolo di rivelare la sua attività di finanziamento illecito ed al tempo stesso, occultandosi con fatti apparentemente inverosimili, deviando una qualunque possibile investigazione esterna.
Ci pervenne la notizia della scomparsa della Baronessa Rothschild. Noi pensammo trattavasi di responsabilità dell’altra parte e l’altra parte sospettò di noi. Ma certamente questa scomparsa fu un fatto a tutti noi estraneo. Uno dei miei sodali mi raccontò in seguito di aver spedito dei telegrammi riportanti dei codici che già contemplavano la possibilità di scegliere una o due delle ragazze nella palazzina abitata dagli Orlandi: si citava il luogo 3, così indicando la palazzina degli Orlandi ma non ne ricordo il motivo per cui questa palazzina fosse associata al N°3, e inoltre si citava l’anagramma parziale di Orlandi, Roland.

Ed ecco Agca, manovrato a piacimento tra servizi segreti vari, diplomatici e trame internazionali varie:

Come ho già detto, in Turchia nell’estate dell’ 80, il Pol – Der comunicò a persona appartenente all’area del già nunzio apostolico monsignor Backis dell’intenzione da parte degli idealisti turchi di attentare al Pontefice. Una nostra persona contattò detti idealisti qualificandosi come appartenente ad un gruppo cultista sudamericano in polemica con il Pontefice per la sua troppo flebile opposizione ai paesi del Patto di Varsavia. Si offriva loro un appoggio logistico nella città di Roma cercando di mitigare le loro intenzioni facendo presente che la morte del Pontefice altro non avrebbe ottenuto che il risultato di esaltare ancor più la sua stessa Figura ed il cristianesimo per esteso. Altresì, con le semplici minacce, si poteva condizionare ed ottenere maggiori risultati nelle intenzioni anticomuniste. La presenza di Agca in Roma era finalizzata al farlo apparire in determinate udienze e convegni per essere fotografato al fianco di determinati personaggi ecclesiali, ai quali in seguito sarebbe stata fatta pervenire l’identità reale di quel semplice “studente”. Questo era lo status con cui fu sempre presentato. Uno studente universitario in contatto con la Segreteria per i non cristiani. La minaccia consisteva nel far “circolare la voce” di poter essere dei fiancheggiatori del signor Agca, con le fotografie effettuate da un fotografo a noi contiguo dell’Agenzia Kappa.

Agli idealisti fu fatto credere che la presenza di Agca in queste occasioni ecclesiastiche fosse per il fine di esercitar pressione su alcuni prelati attestati su posizioni vicine all’eurocomunismo.

Personalmente procurai per lui l’albergo Archimede in via dei Mille, che conoscevo per mia scienza personale in quanto cliente di un negozio di cine- fotografia nei pressi dello stesso, come anche l’albergo Imca di piazza indipendenza, la cui palazzina frequentavo per via di una palestra di attrezzistica.
I nostri contatti tramite con il signor Agca furono condotti da 2 persone della Congregazione De Propaganda Fide. Costoro conducevano lineamenti fisici orientali, per confondere Agca. Si incontravano con lui presso un appartamento in via Belsiana, nelle pertinenze di una persona conosciuta presso il Collegio San Giuseppe Istituto De Merode.

Preciso che le “voci” che arrivarono agli ambienti del Pontefice furono messe in circolazione prima del viaggio in Polonia del ’79, nei primi mesi dell’ 80 e nell’estate dell’ 80.

1981
Intensificammo le pressioni per ottenere benefici a favore della politica dialogica con i paesi dell’est, facendo credere che il progetto dell’attentato potesse manifestarsi proprio in questo momento storico, visto il verificarsi di una grande manifestazione di protesta avvenuta in marzo nella nazione polacca e il ritrovamento delle liste della Propaganda2 che di fatto mettevano in crisi la struttura di sicurezza dello Stato italiano, nonché la nuova politica militare del presidente statunitense Reagan dell’istallazione degli euromissili.

Verso la fine di aprile una detta società “Marius” operò alcuni acquisti nel settore immobiliare e noi facemmo credere che Marcinkus potesse averne alcuni interessi.
La domenica precedente il mercoledì dell’attentato facemmo credere che lo stesso si potesse verificare durante l’inaugurazione del Congresso Internazionale sulle Vocazioni.
Il giorno precedente l’attentato si operò un ulteriore ultimo annuncio durante la visita del Pontefice presso una struttura della Sanità Vaticana, credo in via Pio X. L’ultimo albergo, Isa, dove Agca soggiornò, fu scelto per la stretta vicinanza alla sede di Osservatorio Politico dell’avvocato civilista Pecorelli, il quale era nei nostri interessi per il rapporto che costui aveva con monsignor Bruno, e come ulteriore codice per il nome dell’albergo “Isa”, che in lingua araba e turca significa “Gesù”. monsignor Bruno era italoamericano, abitante come monsignor Marcinkus presso Villa Stritch ed Officiale Minore e capo dell’ufficio inglese presso la Congregazione per il Clero, il cui prefetto era il Card. Oddi. Facemmo presente al signor Agca che in caso di suo arresto avremmo cercato di liberarlo con il sequestro di un diplomatico. Promessa che comunque non avremmo assolutamente mantenuto perchè che aveva l’unico scopo di tranquillizzarlo.

Gli idealisti non accettarono la nostra proposta di esprimere l’attentato con la sola presenza del volto noto di Agca in piazza, e che da noi sarebbe stato fotografato e la sua immagine diffusa a monito e minaccia, e facendo ritrovare sotto il furgone postale un’arma che riportava, oltre alle sue impronte, anche un origine riconducibile ad ambienti di destra. Inoltre in albergo avrebbe lasciato un foglio con riportati nostri codici. Allora si concertò un solo colpo d’arma da fuoco da esplodere per aria, simulando di aver mancato il bersaglio. Il caricatore avrebbe dovuto montare 13 colpi ed il colpo esploso doveva essere il tredicesimo, come la data del giorno da noi scelto, per l’appunto il 13 maggio, anniversario del fatto di Fatima. Vi era una persona accanto a lui che doveva coprirne la fuga accendendo un fumogeno. Si sarebbero dovuti separare e raggiungere due autovetture in loro attesa l’una innanzi al palazzo delle Congregazioni e l’altra innanzi all’Auditorium in via della Conciliazione. Tutto ciò non accadde ed abbiamo sempre pensato a due ipotesi: la prima che vede gli idealisti venir meno autonomamente al patto. La seconda, che possa esserci stato il suggerimento da parte di interessi terzi.

Compare l’espressione “ Chi di dovere”, modo surrettizio per evitare di far nomi ed essere contraddetto:

Il 20 luglio 1981 Agca, durante il primo processo per l’attentato, dichiarò che “se tra 5 mesi non mi consegnate al Papa farò lo sciopero della fame”. Noi interpretammo nel modo seguente: “se le persone ecclesiastiche non mi dovessero aiutare io parlerò”. Infatti, dopo cinque mesi, nel dicembre 1981, cominciò il primo contatto con esponenti dei Servizi italiani. Nello stesso mese, il 20 dicembre, usò come extrema ratio l’annuncio dell’inizio di un suo sciopero della fame. Il “5” ed il “20” sono nostri codici a sua conoscenza.

Inoltre facemmo credere a chi di dovere che la frase “entro cinque mesi farò … “, essendo stata pronunciata un 20 (luglio), quel “20” significasse e ricordasse la condanna del Presidente del Banco Ambrosiano, dottor Calvi, pronunciata un 20, credo del luglio ’82. Per cui ingannavamo alcuni nostri interlocutori portandoli a credere che Agca, da noi istruito, avrebbe dichiarato ufficialmente entro 5 mesi un “qualcosa” riguardante il Presidente Calvi, il Banco Ambrosiano, L’Istituto Opere di Religione.
Nell’estate dell’81 fu esercitata una grande pressione nei confronti dell’Istituto Opere di Religione per portare alle dimissioni del suo presidente monsignor Marcinkus.
Nel luglio vi fu il processo ad Agca ed interpretammo una sua frase “Se tra cinque mesi non mi consegnerete al Papa farò lo sciopero della fame” come una minaccia a rivelare un qualcosa. In effetti dopo cinque mesi, nel dicembre del ’81 cominciò la sua collaborazione con i servizi dello Stato Italiano.

Avemmo notizia che nel mese di settembre monsignor Marcinkus, forse per allentare le pressioni che esercitavamo nei suoi confronti, cercò un contatto con il Servizio d’Informazione della Sicurezza Militare Italiana, servizio che sapevamo aver avuto, nello stesso periodo, un incontro con il Servizio d’Informazione turco MIT. Pensammo che il Servizio della Sicurezza Militare, ammaestrato dalle notizie ricevute da monsignor Marcinkus, si indirizzasse a sua volta al signor Agca.
Nello stesso torno di tempo eravamo a conoscenza che all’interno del Servizio d’Informazione della Sicurezza Militare s’era creato un nucleo particolare.
In questo periodo sollecitammo anche una pubblicazione su il “Giornale Nuovo”, facendo riportare un discorso del Pontefice alla Cohors Elvetica, precedente l’attentato, in cui il Papa annunciava un imminente pericolo alla sua persona. Questa nostra iniziativa rientrava in una logica di critica generale sull’inadeguatezza organizzativa della vigilanza alla persona del Pontefice, cui monsignor Marcinkus non era estraneo.

Sapemmo che in ottobre il signor Agca aveva chiesto un primo contatto con i servizi d’informazione italiana. Contemporaneamente fummo messi a conoscenza di un intensificarsi di finanziamenti alla cellula radicale polacca e di una maggiore conseguente attività di organizzazione della stessa nella Germania Federale.
Attraverso persone vicine a monsignor Celata sapemmo che un suo conoscente, un ex- seminarista ed ora ministeriale in rapporto con il Servizio d’Informazione della Sicurezza Militare, avesse redatto un’informativa fasulla che indicava nell’Unione Sovietica il “mandante” dell’attentato al Papa. La mia parte fece sapere ad alcune persone vicine all’ex- seminarista di essere a conoscenza del “falso”, e costoro desistettero dall’usare tale informativa. Tra l’altro questo ex- seminarista informava il suddetto servizio degli “sviluppi” polacchi.