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Emanuela Orlandi, memoriale Accetti, 6 parte: si passa a Emanuela, ma dopo avere scartato sua sorella Cristina

Emanuela Orlandi, memoriale Accetti, 6 parte: si passa a Emanuela, ma dopo avere scartato sua sorella Cristina. "Incontrai due volte Emanuela"

Emanuela Orlandi, memoriale Accetti, 6 parte: si passa a Emanuela, ma dopo avere scartato sua sorella Cristina. "Incontrai due volte Emanuela"
Emanuela Orlandi, memoriale Accetti, 6 parte: si passa a Emanuela, ma dopo avere scartato sua sorella Cristina. "Incontrai due volte Emanuela"

Emanuela Orlandi, memoriale Accetti, 6 parte: si passa a Emanuela, ma dopo avere scartato sua sorella Cristina. “Incontrai due volte Emanuela”

Emanuela Orlandi, parte numero 6 del memoriale del 2014 di Marco Accetti, in arte Marco Fassoni Accetti. 

Si passa a Emanuela, ma solo dopo avere scartato sua sorella Cristina. Accetti “rivela” di avere incontrato due volte Emanuela:

Orlandi.
La ricerca di una o due ragazze nell’ambiente della Città del Vaticano principiò intorno all’81, con una lunga e difficoltosa selezione, per il fatto che doveva comportare la partecipazione delle stesse. Le ragazze della famiglia Gugel erano da privilegiarsi, in quanto il padre, dottor Gugel era addetto dell’anticamera papale. Ma le figlie non erano idonee a tale operazione per le proprie attitudini caratteriali. Chi svolgeva il compito di vagliarle era una giovane laica che lavorava nella Città del Vaticano, e che si presentava loro sotto mentite spoglie.

Furono attenzionate anche le sorelle Orlandi. Nell’83 si pensò alla Cristina, per poter comporre anagraficamente come codice l’insieme delle figure dei tre pastorelli di Fatima: la Mirella, Cristina e Stefano. Ma costei, per la giovanissima età era da escludersi in quanto non sarebbe stato possibile interloquire con lei. Del resto la Emanuela recava in sé un particolare valore: il frequentare un corso presso la scuola di musica Ludovico Da Victoria. E noi eravamo coscienti l’essere il palazzo di Sant’Apollinare un feudo storico del Card. Caprio, nostra controparte. Questo l’elemento principale per cui fu scelta Emanuela. All’interno della scuola fu attenzionata tale Giuliana, che credo fosse nel Consiglio Direttivo. Rilevanti i rapporti del maestro Miserachs con “ambienti” francesi. Chiedemmo il giorno prima alla Orlandi di recare seco la tessera personale della scuola, per far attenzionare ulteriormente dagli inquirenti italiani e dagli organi di stampa il suddetto palazzo. Chi avvicinò la Orlandi fu la solita lavoratrice laica che in più tempi e più riprese cominciò una graduale conoscenza – sondaggio. Le fece presente, dopo essere venuta a conoscenza dalla ragazza delle sue personali attitudini musicali, di avere delle aderenze all’interno della Prefettura della Casa Pontificia per quanto concerne le attività della Cappella Musicale e su quelle della Cappella Giulia. In quest’ultima operava proprio il Maestro Miserachs. La donna chiese ad Emanuela di non mettere al corrente nessuno di questo suo interessarsi presso le suddette entità per non vanificare le sue iniziative nel favorirla. Con la Orlandi mi incontrai nel giardinetto limitrofo alla sua scuola del convitto, ed una seconda volta nell’ipogeo della chiesa di Sant’Agnese in Agone, luogo da preferire per gli incontri, in quanto munita di una seconda uscita che poteva dare l’idea ad eventuali pedinatori che per l’appunto si fosse usciti dal retro.

ED ECCO IL MOMENTO CRUCIALE:

22 giugno
Cercavamo lungo il tragitto che la Orlandi avrebbe percorso da Porta Sant’Anna alla scuola di musica, un luogo rappresentativo per “ambientarvi” l’incontro con “l’uomo Avon”. Fra i tanti siti avevamo prescelto l’istituto scolastico di una delle figlie del dottor Gugel, sito in Corso Vittorio Emanuele. Questa scelta era dettata per evidenziare come lo stesso fosse posto nei nostri interessi. Per cui la Orlandi avrebbe dovuto muovere pervenendo da Corso Vittorio Emanuele II. Solo quando avemmo a disposizione, tempo prima, il programma della prossima visita papale in Polonia, e notammo di un incontro del Pontefice con il Senato Accademico polacco che avrebbe avuto luogo il 22 giugno, optammo per la scelta della sede del Senato della Repubblica Italiana posto in Corso Rinascimento. Non ricordo esattamente se ci premunimmo affinché le telecamere non fossero in funzione o semplicemente fummo informati della loro disattivazione, in quanto non era mio compito. Ma posso confermare del fatto ch’eravamo comunque a conoscenza del loro non funzionamento. Tra l’altro il numero 22 del giorno prescelto poteva rammentare come codice la sezione 22 di antiterrorismo della Staatssicherheit. Questo in quanto, quella cellula radicale di Solidarnosc che riceveva finanziamenti ed altro, era considerata dalla forza governativa della DDR come forma di terrorismo. Inoltre il 22 era anche il numero di tessera dell’Avvocato Ortolani presso la Loggia Propaganda Due. In questa nuova prospettiva la Orlandi sarebbe dovuta pervenire dal Palazzo di Giustizia, cosa che sorprendentemente non fece, imbattendosi nella compagna dell’Istituto Convitto Nazionale, che stazionava in Corso Rinascimento, e la quale la corresse indirizzandola a percorrere l’interno di piazza Navona per poi riprendere Corso Rinascimento dalla parte opposta.

La Orlandi si fermò alcuni metri prima del punto prefissato giorni prima per l’appuntamento, al centro della strada che mette in comunicazione Corso Rinascimento con piazza Navona. La Bmw (altro codice che doveva ricordare la Germania Federale), parcheggiata in doppia fila nel tratto che va dal Senato a Corso Vittorio Emanuele II, al vedere la ragazza, avanza e sterzando a sinistra va ad accostarsi in contromano ed in doppia fila al centro della suddetta stradina. Questa manovra, con un’autovettura inconsueta e dal colore sgargiante (colore che avrebbe dovuto ricordare lo stesso colore appartenente all’autovettura dentro la quale l’avvocato civilista Pecorelli fu assassinato, e il cui mandante si diceva fosse il signor Enrico De Pedis) serviva ad attirare l’attenzione di quanti stazionavano innanzi al Senato. La nostra intenzione era che si potesse produrre un identikit al fine di far credere che il sequestro fosse opera della criminalità romana. L’imprenditore scende dalla macchina, indirizzandosi verso il marciapiede, e contestualmente la ragazza avanza sul marciapiede verso di lui, ed entrambi simulano un incontro su appuntamento. L’imprenditore le mostra, estraendo dall’interno di un tascapane alcuni prodotti cosmetici avvolti nella loro confezione.

[Qui di seguito Accetti, come ha notato anche l’anonimo che mi ha inviato il memoriale, ha copiato di sana pianta dal mio libro del 2008, dove dimostro che nessuno dei due “testimoni”, il vigile Alfredo Sambuco e il poliziotto Bruno Bosco, può avere letto la parola Avon sul tascapane dell’”adescatore Avon”, e che risulta che il poliziotto ha visto solo una A maiuscola. Viene in oltre ripresa la mia idea che quella A, se mai è esistiva, potesse essere un delle due lettere iniziale di Aeronautica Militare]:

Il tascapane azzurro doveva ricordare l’aeronautica italiana, in quanto alcuni membri della stessa collaboravano con la parte a noi avversa. La “A” posta sul tascapane, oltre a ricordare per l’appunto l’Aeronautica, doveva rammentare la società Avon, in quanto la stessa, oltre a essere un’industria statunitense con sede a New York (città deputata in quanto diocesi gestita dal Card. O’Connor, che con il dottor Macioce influiva sulla scelta della politica da esercitarsi presso l’Istituto Opere di Religione). La Avon possedeva inoltre stabilimenti in Polonia ed in Russia. Poi Avon in celtico significa “fiume”, deve ricordare, nei codici interni, la testimonianza della ragazza del convitto, istituto che risiede per l’appunto lungo le sponde del fiume Tevere. La “A” avrebbe dovuto inoltre rappresentare l’agenzia A, un opuscolo a carattere sociopolitico, che lavorava anche negli interessi della DDR, e che in vari precedenti numeri si era già occupato di criticare la gestione dell’Istituto Opere di Religione.
Io ero già posizionato nei pressi di un vestigio – piedritto dello Stadio di Domiziano, e al momento del suddetto incontro fuoriuscii e, simulando di fotografare la ragazza tedesca innanzi a me, ripresi in realtà la Orlandi e l’imprenditore, che mi apparivano in posizione “paratattica” con sul fondo il palazzo del Senato e le persone che vi stazionavano. Io e la ragazza tedesca eravamo vestiti in guisa di turisti, ma io, sotto un leggero giubbotto, recavo gli stessi abiti indossati dall’imprenditore, ed anche sotto un leggero cappellino a visiera riportavo i capelli con lo stesso taglio e pettinatura del signor De Pedis. Questo per sostituirmi rapidamente a lui nella eventuale necessità che la sua persona potesse essere stata individuata ed in pericolo. Nella stessa misura precauzionale, un motociclista era posizionato circa 50 metri nella direzione di Corso Vittorio Emanuele II e si sarebbe azionato per prelevare l’imprenditore in caso di estrema necessità.

Al termine del breve colloquio la ragazza si indirizzò verso la scuola ed anche l’imprenditore percorse la stessa direzione, andandosi a parcheggiare innanzi all’altra piccola strada che collega piazza Navona e la via che conduce verso Palazzo di Giustizia. Consegno il rullino non interamente utilizzato all’imprenditore, che sale a bordo della moto, condotta da colui che in caso di necessità estrema lo avrebbe dovuto prelevare e si allontana. La macchina viene posizionata al centro della strada e la Orlandi simula un incontro con un esponente dei Focolari Idealisti, a noi politicamente vicino. Il momento scelto per la presenza della Orlandi in questo frangente doveva coincidere con l’inizio inoltrato del corso nella scuola di musica per permettere a tutti i frequentanti dello stesso di essere già all’interno, evitando che gli studenti potessero avvistare la ragazza durante quest’ultima operazione. Scattai delle fotografie, sempre simulando di fotografare la ragazza tedesca, e cercando di far risaltare sul fondo la piazza Navona, che sarebbe dovuta apparire riconoscibile. Usai una seconda macchina fotografica già carica. Una di queste fotografie sarebbe stata mostrata al signor Agca da un agente di custodia corrotto da persona vicina all’imprenditore. Agca avrebbe dovuto riconoscere l’idealista turco e credere che il “sequestro” fosse stato organizzato con l’ausilio di questa organizzazione idealista turca in Europa.

La Orlandi entrò nella scuola e tutti noi ci allontanammo.
Nell’abitazione della Orlandi non doveva trovarsi alcun membro della famiglia, ma ci arrivò la segnalazione della ragazza dell’Associazione Cattolica la quale ci avvertiva dell’imprevista presenza nella casa di una delle sorelle. L’assenza dei genitori avrebbe dovuto significare che il padre Ercole aveva accettato la nostra proposta, e non si faceva trovare nell’abitazione per non dover opporre il diniego ad Emanuela quando costei, telefonando, avrebbe fatto presente della sua possibile collaborazione con la Avon. Riuscimmo a comunicare alla Orlandi tramite una compagna di scuola di musica, già in rapporto con noi, di dire alla sorella, che avrebbe risposto al telefono i codici “Avon” e “375”. Il progetto originale, prevedeva che in casa non vi fosse nessuno e la Emanuela dopo la telefonata avrebbe dovuto comunicare alle compagne che essendo i genitori assenti chiedeva consiglio alle stesse riguardo l’accettare o meno la proposta di lavoro. Per cui i codici sarebbero stati comunicati alle compagne attraverso il racconto dell’incontro con l’uomo Avon. La Orlandi avrebbe dovuto dire alle ragazze di aver già conosciuto nel passato l’uomo Avon presso un defilèe tenutosi nella Sala Borromini. E che l’incontro avuto con lui nelle ore precedenti era concordato con appuntamento. La cifra di 375000 lire, che per la sua esagerazione doveva generare un senso di allarme e improbabilità, era, anagrammandola, la data della prima apparizione della Madonna di Fatima: 13-5-1917.

L’accostare l’industria commerciale Avon all’attività di un atelier di Alta Moda come quello condotto dalle sorella Fontana, era per dare un maggior senso di “improbabilità”, di posticcio, come la cifra spropositata offerta. Il codice “Sorelle Fontana” significava l’abitazione di monsignor Celata posta un portone prima della sede dell’atelier, presso il Collegio San Giuseppe Istituto De Merode. Questo Monsignore era stato incaricato, con altri, di svolgere alcune iniziative tese ad ottenere l’allontanamento di monsignor Marcinkus dal compito che svolgeva come presidente dell’Istituto Opere di Religione. Tra tali iniziative intraprese vi fu anche quella di ottenere tale risultato attraverso una collaborazione con il Servizio d’Informazione della Sicurezza Militare, condotto dall’allora dottor Santovito, con l’ausilio del dottor Francesco Pazienza. “Sala Borromini” significava l’abitazione del Pazienza posta nell’immediata vicinanza di piazza dell’Orologio, laddove si diceva che costui incontrasse persone vicine al signor De Pedis. Per cui il codice composito significava: una sfilata – azione di monsignor Celata con il Pazienza, nel senso che da questo connubio si otterrà un risultato contro la politica dell’Istituto Opere di Religione.