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“Eravamo lì quando è iniziata l’offensiva dell’esercito turco”, all’Unitn il racconto della delegazione italiana in Rojava: “Erdogan vuole conquistare Kobane”

I funerali delle vittime di un bombardamento dell'esercito turco - tutte le foto gentilmente concesse da Radio Onda d'Urto

TRENTO. Nelle scorse settimane nel nord-est della Siria si è tornati a combattere, l’esercito turco infatti ha ripreso l’offensiva contro il Rojava dove vive la popolazione a maggioranza curda assieme ad altri gruppi etnici come arabi, assiri e turcomanni. Eppure di questa nuova invasione si parla poco con l’attenzione internazionale che è concentrata soprattutto su quanto avviene in Ucraina.

Proprio per questo il Centro sociale Bruno ha organizzato un incontro al Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell’Università di Trento (lunedì 12 dicembre alle 17e30) dove interverranno Ludovica Intelisano, studentessa di Catania, Michele Borra, redattore di Radio Onda D’Urto e Andrea Zorzanello, studente di Catania, che hanno fatto parte delegazione italiana appena tornata dalla Siria. I membri della delegazione civile di solidarietà sono dovuti rientrare prima del previsto dal momento che l’offensiva turca aveva colpito a poche centinaia di metri da dove si trovavano, mettendo in pericolo la loro stessa sicurezza.

“Ci trovavamo proprio in Rojava quando nella notte fra 19 e 20 novembre è iniziata la nuova offensiva contro l’Amministrazione autonoma della Siria del Nord-Est”, spiega Michele Borra. L’operazione, orchestrata dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan, ha preso il nome di “Spada ad artiglio”, un dettaglio che sottolinea l’importanza che questa manovra ricopre anche dal punto di vista politico. “Ogni volta che Erdogan ha dato un nome alle operazioni militari queste si sono trasformate in un’invasione con l’occupazione di territorio siriano”.

Era da tempo che si parlava di una possibile offensiva dell’esercito turco contro il Rojava, in questo caso le ostilità sono arrivate poco dopo l’attentato che ha colpito il centro di Istanbul. “Erdogan – sottolinea Borra – ha puntato subito il dito contro il Pkk e le Ypg (le Unità di Protezione Popolare che hanno combattuto contro l’Isis in Rojava ndr) ma senza portare alcun tipo di prova a sostegno di questa tesi. Dal canto loro le Forze siriane democratiche hanno condotto indagini indipendenti e, oltre a respingere tutte le accuse, hanno dimostrato che gli esecutori dell’attentato sono riconducibili a milizie jihadiste”.

Di fatto l’attentato è stato utilizzato come pretesto per l’invasione benché le Ypg non abbiano mai preso di mira la popolazione civile né compiuto operazioni sul suolo turco. “L’attentato di Istanbul è stato sfruttato i maniera strumentale per giustificare l’ennesima violazione del diritto internazionale”, ribadisce Borra. “Come per le precedenti invasioni anche in questo caso gli alleati di Erdogan sono le milizie jihadiste che comprendono ex combattenti dello Stato islamico”.

Come già anticipato i membri della delegazione hanno potuto osservare direttamente gli effetti dei combattimenti. “A differenza di quanto si legge sulla stampa in Rojava non si stanno verificando dei semplici scambi di artiglieria ma la Turchia sta preparando il terreno per un’invasione sfruttando i droni per colpire infrastrutture civili e villaggi”. Silos del grano, ospedali, centrali elettriche e pozzi petroliferi sono diventati obiettivi ordinari: “La strategia è quella di fiaccare la resistenza della popolazione provocando blackout e impedendo ai civili di riscaldarsi”. In altre parole Erdogan sta usando una strategia molto simile a quella di Putin in Ucraina. “Questa mossa però non sta funzionando – dice Borra – la popolazione è parte dell’esperienza di autogoverno iniziata nel 2012 perciò spesso decide di rimanere e resistere anche se i continui bombardamenti non danno tregua”.

I membri della delegazione durante la loro permanenza in Rojava hanno avuto modo di vistare anche un villaggio vicino alla città di Dêrik che è stato completamente raso al suolo dalle bombe turche. “Quando siamo arrivati abbiamo trovato solo macerie e crateri, i sopravvissuti ci hanno raccontato che dopo un primo raid erano arrivati dei soccorritori per aiutare i feriti e pure una troupe di un giornale locale, sono tutti morti quando sono stati colpiti da un missile sganciato da un drone”.

Il Governo di Ankara può agire in questo modo per via dei suoi stretti rapporti con i governi occidentali, fra cui l’Italia che è fra i principali fornitori di armamenti. “Armi che poi vengono utilizzare per queste operazioni”, ricorda Borra. In questo senso vale la pena sottolineare il ruolo ambivalente ricoperto dalle due principali potenze straniere presenti in Siria: gli Stati Uniti e la Russia. “Le forze speciali statunitensi collaborano fattivamente con le Ypg mentre le truppe russe aiutano nei pattugliamenti lungo il confine. Sia Mosca che Washington hanno chiesto a Erdogan di fermare l’escalation ma nelle precedenti occasioni avevano comunque scelto di ritirare i propri militari consentendo l’avanzata turca”.

Il timore però è che Russia e Turchia possano trovare un accordo mentre l’opposizione degli Stati Uniti è abbastanza sterile e finora è stata contenuta. I turchi hanno colpito persino dei centri di detenzione dove erano reclusi i miliziani dell’Isis con le loro famiglie permettendo ad alcuni combattenti di fuggire. “Erdogan ha puntato la città di Kobane, simbolo sia della resistenza contro lo Stato islamico che del confederalismo democratico”. Kobane infatti è la città dove è iniziata l’insurrezione che ha generato un’esperienza di autogoverno unica nel suo genere che mette al centro la liberazione delle donne e la convivenza fra i popoli. “È in questa città che sono avvenuti i bombardamenti più pesanti – conclude Borra – eppure non se ne parla, per questo stiamo girando l’Italia per parlare di quella che è a tutti gli effetti una guerra”.