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Ex Ilva: la storia di un disastro ancora senza risposte

Il caso

Il processo "Ambiente Svenduto" si è concluso con la condanna degli ex vertici aziendali. I giudici nelle motivazioni parlano di "gestione disastrosa" e "razzismo ambientale". La fabbrica però c'è ancora. Lo Stato investe risorse, i lavoratori sono appesi a un filo, il tema inquinamento resta attuale. La storia del colosso della siderurgia è ancora aperta e incerta

L'Ilva di Taranto è stata gestita in modo "disastroso", i vertici hanno messo "in pericolo concreto la vita e la integrità fisica dei lavoratori dello stesso stabilimento" e quella "dei cittadini". Scrivono così i giudici della Corte d'Assise di Taranto nelle motivazioni della sentenza emessa a maggio 2021 per il processo "Ambiente Svenduto" per disastro ambientale causato dal colosso della siderurgia. La fabbrica ex Ilva c'è ancora e la sentenza è un capitolo di una vicenda che ha segnato non solo la Puglia, ma l'Italia intera. Una storia iniziata ai primi del '900, legata allo sviluppo industriale del dopoguerra e che prosegue ai nostri giorni quando ancora migliaia di persone lottano con le conseguenze dell'inquinamento ma anche con le incognite per il futuro lavorativo. Il "caso Ilva" è tutt'altro che chiuso. Vediamo più da vicino di cosa stiamo parlando.

Ilva da colosso industriale a bomba ambientale

Queste le dieci tappe chiave dell'Ilva:

  • Ilva nasce a Genova nel 1905, per creare uno stabilimento siderurgico a Bagnoli (Napoli). Cresce fino a diventare il più grande complesso italiano nel settore della siderurgia e delle lavorazioni derivate. 
  • Nel 1993 Ilva si divide: nascono la Ilva laminati piani (venduta nel 1995 al gruppo Riva) e la Acciai speciali Terni (ceduta nel 1994 alla società italo-tedesca ThyssenKrupp).
  • Nel luglio 2012 scoppia il caso Ilva. Alla procura di Taranto vengono consegnate due perizie su inquinamento ambientale e decessi. I vertici della società siderurgica vengono incriminati per strage e disastro ambientale e si dispone il sequestro (confermato dal Riesame) degli impianti a caldo di Taranto.
  • A ottobre 2012 il ministero dell’Ambiente vara un documento tecnico per l'Autorizzazione integrata ambientale (Aia) in cui è tracciato il piano di adeguamento degli impianti,
  • Nel novembre 2012 i vertici dell’azienda annunciano la chiusura dell’area a freddo dello stabilimento di Taranto e la sospensione dell’attività in tutti gli stabilimenti siderurgici del gruppo.
  • A fine novembre 2012 il Consiglio dei ministri approva un decreto legge per il risanamento ambientale e la continuità produttiva degli stabilimenti di Taranto.
  • Nel maggio 2013, il consiglio di amministrazione della società siderurgica si dimette e il mese dopo per assicurare la continuità della produzione, il risanamento ambientale e la salvaguardia dell’occupazione, il Consiglio dei ministri dispone il commissariamento temporaneo.
  • Nel 2021 Ilva passa alla società pubblico-privata Acciaierie d'Italia (Mittal e Invitalia, col privato socio di maggioranza).
  • Nel maggio 2021 la sentenza del processo di primo grado del processo: con  26 condanne e la confisca degli impianti dell'area a caldo. 
  • Oggi l'ex Ilva vive un momento di profonda incertezza. La realtà parla di calo di produzione, crisi di liquidità, crediti non pagati, cassa integrazione, stop per 145 aziende dell'indotto. Da qui nuovi scioperi e proteste e all'avvio di un tavolo ministeriale.

ilva taranto ansa-3

Il processo "Ambiente Svenduto" ai manager Ilva

Nel 2012 due perizie sull'emissione di sostanze nocive che avrebbero causato malattie e decessi nel territorio di Taranto portano all'apertura di un'indagine. I vertici della società siderurgica vengono incriminati per strage e disastro ambientale e si dispone il sequestro (confermato dal Riesame) degli impianti a caldo di Taranto. Si arriva al processo "Ambiente Svenduto" .

In primo grado vengono inflitte 26 condanne (tra dirigenti della fabbrica, manager e politici) per 270 anni di carcere. Si dispone la confisca degli impianti dell'area a caldo ma anche la confisca per equivalente dell'illecito profitto nei confronti delle tre società Ilva spa, Riva fire e Riva forni elettrici per una somma di 2,1 miliardi. 

Spiccano le condanne rispettivamente a 22 anni e 20 anni di reclusione per Fabio e Nicola Riva, ex proprietari e amministratori dell'Ilva, che rispondevano di concorso in associazione per delinquere finalizzata al disastro ambientale, all'avvelenamento di sostanze alimentari, alla omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro.

A tre anni e sei mesi di reclusione (di 5 anni la richiesta dell'accusa) viene condannato l'ex presidente della Regione Puglia Nichi Vendola, a cui viene contestata la concussione aggravata in concorso.

I giudici: "Gestione disastrosa e razzismo ambientale"

I giudici definiscono "disastrosa" la gestione dei fratelli Riva. ma allargano il quadro anche al contesto in cui Ilva agiva e usano il termine "agghiacciante". Le scelte dei vertici Ilva avrebbero messo "in pericolo concreto la vita e la integrità fisica dei lavoratori dello stesso stabilimento" e quella "dei cittadini di Taranto". 

I giudici parlano di "anni alla vita e all'integrità fisica che, purtroppo, in molti casi si sono concretizzati: dagli omicidi colposi, alla mortalità interna ed esterna per tumori, alla presenza di diossina nel latte materno. Modalità gestionali che sono andate molto oltre quelle meramente industriali, coinvolgendo a vari livelli tutte le autorità, locali e non, investite di poteri autorizzatori e/o di controllo nei confronti dello stabilimento stesso".

La frase pronunciata da Fabio Riva "Due tumori in più l'anno... una min***", intercettata durante una conversazione telefonica del giugno 2010, secondo la Corte "riassume meglio di ogni altro elemento di prova la volontarietà della condotta delittuosa posta in essere dagli imputati, e anzi la consapevolezza degli effetti dell'inquinamento sulla salute della popolazione tarantina".

I giudici parlano anche di "connivenze che a vari livelli sono emerse e solo in parte risultano giudizialmente accertate". 

Non solo. Viene usato il concetto di "razzismo ambientale. Zone economicamente arretrate sono individuate come luoghi ove realizzare grandi impianti industriali o altre fonti inquinanti, senza che le istituzioni preposte ai controlli esercitino efficacemente le proprie prerogative e, in ultima analisi, senza alcuna considerazione della popolazione residente, costretta a vivere in un ambiente gravemente compromesso e esposta a maggiori rischi per la salute".

Fabio Riva foto Ansa

L'Ilva e le condanne della Corte di Strasburgo

Per le vicenda Ilva l'Italia è stata anche condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Due volte: nel 2019 3e nel 2022. La Corte di Strasburgo ha condannato il nostro Paese per non aver garantito il diritto alla salute dei lavoratori dell’ex Ilva di Taranto e dei cittadini che vivono intorno all’acciaieria. Inoltre l’Italia è stata condannata per aver violato i diritti di un gruppo di cittadini di Taranto che avevano chiesto giustizia per i danni provocati alla loro salute dalle emissioni inquinanti.  

L'Ilva oggi "un treno in corsa che sta deragliando"

La situazione dell'Ilva oggi? Oggi Acciaierie d'Italia ha una grave crisi di liquidità ed è stata sospesa l'attività di 145 imprese dell'indotto, di cui 43 a Taranto, con una ricaduta stimata di circa 2.000 lavoratori esterni.

"Saliamo su un treno in corsa che sta deragliando", le parole usate dal ministro delle Imprese  Adoldo Urso. "Si producono tre milioni di tonnellate - dice Urso - ne avrebbe dovuti produrre sei. Siamo già con un impianto che si sta spegnendo. Nessuno mi dice che chiude ma, da un giorno all'altro, arriva la chiusura dei cancelli ai lavoratori dell'indotto. Siamo nei giorni decisivi, serve completare il confronto con l'azienda". Urso ribadisce la volontà di un "confronto serrato", ma anche il "bisogno di riequilibrare la governance". 

I sindacati spingono per la nazionalizzazione. I lavoratori continuano a essere in bilico. Le opposizioni incalzano. "Il governo deve dare delle risposte - dice il senatore e vicepresidente M5S Mario Turco, originario proprio di Taranto -  chiediamo di mettere in atto il piano di sostegno e reinserimento al lavoro di tutti i lavoratori, e auspichiamo che vengano accolte le nostre proposte recentemente bocciate in Parlamento: accelerare quindi la riconversione che porti all'addio al fossile, aprire a nuovi impianti ecosostenibili, ridurre i livelli degli inquinanti, applicare la clausola sociale per tutte le aziende dell'indotto. Sarà centrale tutelare il lavoro compatibilmente con la salute e l'ambiente"

Tra le ipotesi sul tavolo c'è quella di anticipare al 2023 l'incremento della partecipazione pubblica dal 32 al 60% previsto nel 2024. Soltanto a questa condizione verrebbero erogati i 2 miliardi di euro complessivamente previsti dal Pnrr e dall'aumento di capitale inserito nel Dl Aiuti bis.

Nei prossimi giorni è in programma l'Assemblea di Acciaierie d'Italia e per il prossimo 6 dicembre è anche indetta una riunione dell'Osservatorio permanente per il monitoraggio dell’attuazione del Piano ambientale per lo stabilimento di Taranto.