il botta e risposta
La lettera del sindaco sul nomignolo di Renzi crea un caso in Comune. E lui: attacco solo alla semantica
di Giorgio Bernardini

Una battaglia sul «senatore di Scandicci». Il sindaco Sandro Fallani è stanco della formula che lega Matteo Renzi al suo collegio elettorale, ma i consiglieri renziani del suo Comune non l’hanno presa bene: «Una cosa così non deve succedere mai più». La «cosa così» è la lettera che il sindaco Fallani ha spedito tre giorni fa aIl Tirreno, nella quale il primo cittadino implorava di dividere le sorti politiche dell’ex premier da quelle del suo collegio d’elezione. In soldoni, secondo Fallani, i cittadini di Scandicci non vogliono essere accostati sistematicamente al leader di Italia Viva, che pure in quel Comune ha ben quattro alfieri in Consiglio comunale a reggere la maggioranza: Ilaria Capano, Claudia Morandi, Stefano Pacinotti e Alberico Porfido. Tutti ex Pd e in qualche modo decisivi, dato che senza il loro appoggio la maggioranza di Fallani sarebbe appesa al voto del sindaco.
La formula «il senatore di Scandicci» è entrata nel gergo giornalistico e politico per qualificare Renzi sin dalla sua elezione in Parlamento: una definizione che a seconda del suo utilizzo intende sottolineare il ruolo ridimensionato dell’ex rottamatore o la genuinità rappresentativa del suo mandato, legato ad un territorio dal nome che evoca la toscanità. Comunque sia il sindaco Fallani non è più disposto ad avvallare l’accostamento: «Del senatore sappiamo molto poco — spiegava riferendosi a Renzi nella lettera — perché semplicemente da queste parti si è visto molto poco. Al massimo abbiamo avuto un “sentore” di lui in qualche limitata circostanza, come dire che a volte una vocale in meno chiude un’analisi». Ma l’ironia pungente, assieme ad altri riferimenti, ha colpito nell’orgoglio i renziani del Comune. Che invitano il sindaco a una riflessione: «Lui e il Pd ci devono garantire che si impegnano a lasciar fuori Scandicci da questa crisi nazionale — chiarisce il capogruppo dei renziani in Consiglio, Stefano Pacinotti — La lettera è stata una grande leggerezza, totalmente inopportuna. In un momento così delicato era prevedibile che queste sue parole potessero essere fraintese e creassero un caso». I semestri, in politica, sono ere. Non hanno fatto in tempo ad ingiallire, infatti, le foto scattate da queste parti nel 2018, con Renzi e Fallani che solcano insieme le strade della campagna elettorale a suon di pacche sulle spalle. Il sindaco a onor del vero non è mai stato ufficialmente renziano e le sue origini culturali socialiste lo hanno sempre tenuto al riparo dalle correnti del Pd, tuttavia l’intesa fra i due sembrava collaudata. È cambiato tutto, com’è noto: il sindaco e il senatore non sono più da tempo nello stesso partito. «Un’altra cosa che ci ha fatto male — dice Pacinotti — è stato vedere che il sindaco se la prende con chi qui due anni fa ha avuto una sorta di plebiscito: ci sono interviste e post della campagna elettorale dove Fallani magnifica il lavoro del futuro senatore di Scandicci». Nessuna minaccia di abbandono della maggioranza, ma attenzione: «C’è voglia di superare l’equivoco velocemente, altrimenti agiremo di conseguenza».
«Il mio non è stato un attacco politico a Renzi — replica Fallani — ma un vero e proprio attacco alla semantica, alla rappresentazione, un discorso che vuole far riflettere sui significati, che non ha nulla a che vedere con la ricerca di consenso o con il giudizio verso Renzi».
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