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I primi 100 giorni dell'opposizione, che non c'è

Cento giorni di governo Meloni, cento giorni senza opposizione. Nell’attesa di poter giudicare l’esecutivo sulle scelte concrete, è un dato di fatto: il governo fin qua si è giovato dell’assenza di una controparte politica. Lacerata da una sconfitta prevista e prevedibile, e tutt’ora in cerca di fondamenta sulle quali costruire qualcosa di dignitoso.

I cento giorni dell’opposizione partono con il si salvi chi può elettorale, il disastro strategico di Enrico Letta che rompe rumorosamente con il terzo polo e si abbarbica a leader senza seguito, come Di Maio, Bonelli e Fratoianni. Ne esce una sconfitta senza appello che scatena nel Partito Democratico una resa dei conti spietata, di cui ancora osserviamo le rivalità. Una crisi di identità che avvantaggia i cinque stelle, e che rischia di condurre il partito alla scissione definitiva tra riformisti e sinistra interna. Con i cosacchi di Articolo Uno, proiezione degli intramontabili D’Alema e Bersani, pronti a riprendersi il partito con gli interessi.

Nel marasma politico, il Pd non ha saputo far altro che attaccare sugli aumenti del costo della vita, benzina in primis: ma solo per rumoreggiare, senza avanzare soluzioni. Idee ce ne sono pochissime, e confuse. E le divisioni, che pure ci sono, nella maggioranza, sono sembrate minuscole in confronto alle voragini che attraversano l’opposizione. Le incertezze del governo (pensiamo alla polemica sul Pos, o i balbettii sui rave) sono finite in fretta, perché non esiste di fatto un’alternativa politica che sappia controbattere con una voce sola.

In questo vuoto di idee, non a caso a prendersi la scena è stato il Qatar-gate. Vissuto a metà, tra una condanna a mezza bocca e una difesa d’ufficio, il Pd si è barcamenato tra un garantismo zoppo e un giustizialismo muto. Di fatto incassando il colpo di immagine più pesante.

E il terzo polo? Rassegnatosi al divorzio dal Pd, vaga in cerca di una collocazione nel mondo. Con Calenda e Renzi che non si supportano: al massimo si sopportano, finché regge il tandem. Ma non è un mistero che, pur da dietro le quinte, tra una conferenza all’estero e altra, l’ex sindaco di Firenze abbia mostrato più di un’apertura verso il governo, fin dalla sua nascita, al contrario del partner Calenda. Per il resto, la linea occidentale, filo-atlantica e filo-europea di Meloni, se da un lato rischia di scontentare parte dell’elettorato di destra, dall’altro ha spiazzato l’opposizione “moderata”, che paventava (e forse sperava) in un sovranismo scomposto al potere. L’arma della denuncia dell’autoritarismo meloniano è apparsa, da subito spuntata.

A chi è in mano il futuro dell’opposizione? A Bonaccini, solido governatore emiliano in un partito magmatico? A Elly Schlein, paladina ambientalista scollata dal mondo reale? A Calenda, che sogna da troppo tempo un futuro da federatore dei moderati? E che fine faranno le altre meteore del centrosinistra? Abbandoneranno la squadra, o resteranno nei ranghi a covare rancore?

Insomma, se i primi cento giorni dell’opposizione sono stati giorni di lotta, è stata perlopiù lotta intestina, tra compagni d’arme. La speranza è che si costruisca un’alternativa vera, che si abbandonino certi fanatismi ideologici, e che il centrosinistra si ricompatti. Oggi sembra irreastico pensarlo. Ma che nasca una sinistra responsabile è interesse dei suoi elettori, e tutto sommato dell’intero Paese.