La posta in gioco, per chi lavora 12 mesi all’anno su un prodotto che si vende solo a dicembre, è altissima. In un mese tra abeti (“noi ne abbiamo di quattro varietà”, dice Bertini) e stelle di Natale si vendono 13,5 milioni di pezzi, calcola Coldiretti. Un abete impiega sette-otto anni per arrivare a 1,5-1,7 metri di altezza standard previsti dai canoni estetici degli addobbi natalizi ed esce dai vivai a un prezzo di 10-11 euro. Cosa succederà nei prossimi giorni, decisivi per molte imprese? “Molto dipenderà dall’andamento dei contagi”, è certa Bertini. “Il settore florovivaistico tra l’altro ha già preso una brutta botta a marzo con la chiusura della vendita al dettaglio – conferma Bazzana – e un altro colpo adesso sarebbe difficile da assorbire”. Il rischio – butta lì Coldiretti – è che se non arriveranno nei negozi e nei supermercati le piante, le famiglie tricolori ripieghino sul prodotto succedaneo di plastica “che arriva molto spesso dalla Cina e impiega almeno 200 anni a smaltirsi nell’ambiente”.
Il futuro, insomma, più che in una palla di vetro si può leggerlo nelle cronache giornaliere sull’andamento dei contagi. “Io conservo un po’di speranza – dice Bertini, alle prese con le consegne (ridotte) ai grossisti -. L’importante è che si allentino le restrizioni e le persone possano riprendere a muoversi”. Così potrebbero riaprire anche tutti i punti vendita “e magari con più tempo da passare in casa gli italiani decideranno di dedicarne un po’ anche a regalarsi un albero come si deve, quello vero – ovviamente - con gli aghi e quel profumo che ci siamo un po’ dimenticati”. Rilanciando un Natale che sembra partito a luci – anche quelle colorate e intermittenti degli abeti – un po’ spente. MILANO - Le feste senza cenoni in famiglia, senza sci e senza tombole in presenza rischiano adesso di fare a meno anche del loro protagonista numero uno: l’albero di Natale. Loro, gli abeti, sono in teoria pronti da tempo. In una stagione normale e senza Covid gli italiani ne acquistano 3,6 milioni, concentrando lo shopping nei primi giorni di dicembre. E i coltivatori stanno preparandoli per le consegne proprio in questi giorni. Il mercato però, almeno per ora, è al palo. “Io consegnavo le piante per le decorazioni in molti degli alberghi e dei negozi di Venezia. Ma ora che sono chiusi causa assenza turisti, gli ordini sono quasi a zero”, ammette Renzo Borgato, titolare di un grande vivaio a Vigonovo, in Veneto. Anche la domanda dei privati fatica a decollare. Nelle zone rosse non ci si può muovere di casa. E nelle altre l’ultimo Dpcm – pur lasciando aperta in teoria la vendita dei negozi florovivaisti – è stato interpretato in maniera un po’ anarchica dalle regioni. “Tanto che anche in molte zone arancioni ci hanno segnalato degli obblighi di chiusura anche per i grandi garden center” dice Lorenzo Bazzana, responsabile economico di Coldiretti. Il cerino è rimasto così in mano ai produttori: “Io e le altre aziende del casentino viviamo in questi giorni con un po’ di paura – ammette Elena Bertini, titolare di uno dei vivai familiari nel distretto dell’albero di Natale della provincia di Arezzo -. Molti grossisti hanno quasi dimezzato gli ordini per il timore di mettersi in casa prodotti che poi la gente non potrà comprare”. E il timore è che senza allentamenti delle restrizioni alla circolazione, gli alberi piantati sette-otto anni fa in vista della stagione 2020 finiscano per rimanergli sul groppone portandogli in regalo per il 25 dicembre un bel buco in bilancio.