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Il grande ritorno dell’olio di palma

L'intervista

Complice il rincaro delle materie prime, l'industria alimentare sta facendo un passo indietro sull'olio di palma. L'intervista a Mauro Fontana, presidente dell’Unione italiana per l’olio di palma sostenibile,

La guerra in Ucraina non sta avendo ripercussioni importanti solo sui prezzi del gas e del grano, ma anche sull’olio di semi di girasole che è uno dei prodotti più usati in cucina, anche per motivi economici. L’olio di semi di girasole, infatti, è sempre stato un prodotto alimentare economico, ma da qualche mese le cose sono cambiate: i prezzi hanno registrato un aumento record del 66%, spingendo l’industria alimentare a cambiare le proprie ricette. È così che ricompare sulle nostre tavole l’olio di palma, demonizzato in passato per i suoi possibili effetti cancerogeni e per il pericolo ambientale legato alla deforestazione. L'industria alimentare sta facendo un passo indietro sull'olio di palma, orientandosi verso un prodotto sostenibile e sicuro. Che cos'è l'olio di palma sostenibile e a cosa serve? Ce lo spiega Mauro Fontana, presidente dell’Unione italiana per l’olio di palma sostenibile in un'intervista a Today.it. 

Olio di semi di girasole, aumento record dei prezzi +66%

Perché l’olio di palma è tornato sulle nostre tavole? Tutta colpa della guerra in Ucraina e dei rincari folli dell’olio di semi di girasole. Questo prodotto, infatti, ha fatto registrare in Italia il maggior incremento dei prezzi dall’inizio del conflitto, segnando un aumento record del 66%. C’è da dire che il prezzo al dettaglio dell’olio di semi di girasole era aumentato già prima dell’inizio della guerra, registrando tra dicembre 2020 e dicembre 2021 un rincaro del 28%. Poi tra febbraio e marzo 2022 c’è stato un ulteriore aumento del 15% e così i prezzi sono volati sopra i 2 euro al litro, per arrivare oggi attorno ai 3 euro.

A far schizzare in alto i prezzi dell’olio di girasole sono stati i timori di possibili carenze del prodotto, visto che quasi la metà (46%) delle importazioni nazionali arrivano dall’Ucraina (dati Coldiretti). L’Italia consuma circa 770 mila tonnellate di olio di girasole l’anno ma ne produce solo 250mila. Circa 520 milioni di tonnellate, dunque, arrivano dall’estero ma non siamo i soli. Purtroppo Russia e Ucraina coprono circa il 60% della produzione mondiale e circa il 75% dell’export, di conseguenza questo prodotto è diventato via via sempre più difficile da reperire a livello globale.

Prezzi oli girasole-2

Perché l'olio di palma era finito sotto accusa

C’è stato un momento in cui l‘olio di girasole era praticamente introvabile e se si trovava era carissimo. Di fronte a questa situazione le catene di supermercati hanno dovuto razionare le vendite mentre molte industrie alimentari hanno dovuto modificare le ricette dei propri prodotti. E così alcune aziende, in particolare quelle di merendine, biscotti, cornetti e brioches confezionati, fette biscottate, torte confezionate e focacce, hanno iniziato a riconsiderare l'utilizzo dell’olio di palma. L’olio di palma non si usa solo nella ristorazione per friggere, viene impiegato nell’industria alimentare per quasi tutti i prodotti dolci e salati, ma anche per conserve, salse, maionese, condimenti spalmabili (si usa anche nell’industria farmaceutica e come biocarburante).

Negli ultimi anni però era finito sotto accusa: alcune ricerche avevano dimostrato che una dieta ricca di olio di palma poteva favorire lo sviluppo del cancro. Così, l'industria alimentare lo aveva messo un po' da parte (molte confezioni di biscotti e merendine riportavano in bella mostra la dicitura "senza olio di palma"). Una volta sciolti i dubbi sulla sicurezza alimentare dell'olio di palma, però, siamo tornati indietro, o meglio stiamo assistendo ad un’inversione di marcia sia da parte dei produttori che dei consumatori. Dopo i tassi di crescita a due cifre dei primi anni, le vendite di prodotti "senza olio di palma" hanno fatto registrare un costante rallentamento, mostrando nel 2021 una contrazione della domanda del -1,6% rispetto al 2020.

Vendite prodotti senza olio di palma-2

Il passo indietro dell’industria alimentare

Al posto dell’olio di semi di girasole, troppo caro e a volte introvabile, l’industria si è trovata a volte costretta a reintrodurre l’olio di palma, ossia l’olio vegetale da cucina più utilizzato ed esportato al mondo. La conferma arriva dall’aumento delle esportazioni di olio di palma dalla Malesia e dall’Indonesia, intensificatesi negli ultimi mesi. Secondo alcuni esperti intervistati da Bloomberg, negli ultimi 30 giorni la Malesia, che è il secondo esportatore di olio di palma al mondo, ha registrato un aumento delle spedizioni all’estero del 19%. In Indonesia, primo esportatore al mondo, le scorte di olio di palma sono diminuite del 12% a 5,91 milioni di tonnellate nel mese di luglio.

Inoltre, alcune catene di supermercati hanno inequivocabilmente annunciato la retromarcia. Ad esempio, la britannica Iceland Foods Ltd., che nel 2018 aveva deciso di rimuovere tutto l'olio di palma dai propri prodotti, ha comunicato che utilizzerà l'olio di palma "sostenibile" in almeno 25 articoli. "Non avrei mai pensato di fare o dire che saremmo tornati all'olio di palma", ha ammesso l'amministratore delegato Richard Walker, ammettendo che "è stata una decisione difficile". Stesso discorso per la Sainsbury Plc, che potrebbe utilizzare temporaneamente olio di palma sostenibile in alcuni prodotti. Attualmente il mercato dell’olio di palma vale 33 miliardi di dollari ma da qui al 2031 potrebbe arrivare a 50 miliardi di dollari (stima Fact.MR).

Produzione mondiale di oli-4

Cos’è l’olio di palma sostenibile

Che cos'è l'olio di palma sostenibile? "L’olio di palma sostenibile viene coltivato nel rispetto delle aree protette, non in zone dedicate a foreste o torbiere che sono ecosistemi a valore ecologico protetto" spiega Mauro Fontana. "L’olio poi deve essere coltivato nel rispetto delle norme di sostenibilità, quindi i prodotti utilizzati per il terreno devono essere riconosciuti come non dannosi per l’ambiente. Deve essere sicuramente tracciato o tracciabile perché sennò sostenibile non vuol dire niente. Bisogna dimostrare dove è coltivato e che vengono rispettate tutte una serie di norme contenute nel disciplinare della Rspo – Tavola rotonda per l’olio di palma sostenibile (organizzazione agricola nata nel 2004 con l'obiettivo di promuovere la crescita e l'uso di prodotti di olio di palma sostenibile attraverso standard globali credibili e il coinvolgimento delle parti interessate, ndr) che contiene tutta una serie di vincoli aggiornati ogni tre anni. Questo per quanto riguarda la sostenibilità ambientale, poi ci sono tutta una serie di regole etiche come il divieto di utilizzare minori, di non utilizzare lavoratori con la logica della schiavitù, quindi lavoratori con contrattualità normale. Il grande vantaggio dell’olio di palma sostenibile è che tiene conto anche della necessità di sviluppare i piccoli produttori, perché il 40% dell’olio di palma prodotto nel sud-est asiatico viene prodotto da famiglie o aggregazione di famiglie. L’olio di palma sostenibile può permettere loro di avere una vita sociale evoluta".

Olio di palma-5

Gli sforzi per la sostenibilità non vengono ripagati

Non tutto l’olio di palma è complice della deforestazione del sud-est asiatico. Alcuni produttori, infatti, scelgono di acquistare olio di palma solo da fornitori che si impegnano a non deforestare e a bonificare nuovi terreni, insomma produttori che soddisfano determinati criteri ambientali e sociali. Un esempio arriva dalla Nestlé SA, azienda che nonostante la carenza di olio di semi di girasole si è impegnata a fornire solo olio di palma sostenibile certificato entro il 2023. "Se qualcuno non certifica l'olio di palma come privo di deforestazione, non lo considereremmo un nuovo fornitore", ha affermato l'amministratore delegato Mark Schneider.

L’Unione italiana olio di palma sostenibile, che vanta aziende del calibro di Ferrero, Nestlé Italiana, Unigrà e I.S.F. Italy, ci tiene a precisare che l’olio di palma non è assolutamente un nemico dell’ambiente in quanto a differenza degli altri oli vegetali richiede poco terreno, poca acqua e pochi concimi fertilizzanti. Peccato però che solo un quinto dell’olio di palma prodotto nel mondo nel 2020 è stato certificato dalle organizzazioni e che di questo solo la metà è stata acquistata (visto che è più costoso). La parte che non viene comprata, spiega Bloomberg, viene miscelata con olio non certificato e venduta senza l’etichetta "sostenibile". Spesso, quindi, gli sforzi dei coltivatori per la sostenibilità, non vengono adeguatamente ripagati.

Olio palma ambiente-2

Oltre il 95% dell'olio di palma utilizzato in Italia è sostenibile

"In Italia la grossa parte dell’olio di palma importata viene utilizzata per usi tecnici, che sono biofuel, energia e oleochimica - spiega Fontana -. Per quanto riguarda l’alimentare se ne usa il 13% di quello importato e il 7% viene valutato come utilizzo nella cosmetica e nei prodotti per la casa, detersivi e cose simili. Nell’alimentare oltre il 95% di quello utilizzato in Italia è sostenibile, certificato”. Sono numeri in crescita rispetto agli anni passati? “Negli ultimi 5-6 anni c’è stata una decrescita a seguito delle polemiche che erano uscite sulla sicurezza alimentare e sulla deforestazione. Poi due anni fa la commissione ha normato il discorso dei contaminanti, quindi oggi la regolamentazione europea per le importazioni prevede dei limiti di questi contaminanti che sono assolutamente sicuri e non sono discriminanti rispetto agli altri oli. Da allora alcune aziende alimentari hanno cominciato a ritornare o a passare all’olio di palma sostenibile perché non ci sono più dubbi sulla sua  sicurezza alimentare e sulla deforestazione. E’ difficile stimare quantitativamente quante aziende abbiamo compiuto questo passo, però alcune di queste hanno dichiarato in modo inequivocabile questa decisione. Non possiamo parlare di ritorni con percentuali eclatanti, ma riteniamo che l’utilizzo dell’olio di palma sostenibile possa essere utilizzato nel settore food tra un 10-20%”.

Differenze tra olio di semi di girasole e olio di palma

L'olio di palma sostenibile torna così sulle nostre tavole, ma quali sono i suoi pregi e i suoi difetti? "Ci sono aspetti positivi e negativi - dichiara Fontana -. L’olio di palma ha una versatilità che gli altri oli vegetali non possono avere perché hanno un livello di acidi grassi saturi molto inferiore. Questo permette loro di essere utilizzati in quantità maggiori ma non possono essere utilizzati dal punto di vista tecnologico in prodotti che richiedono una consistenza, come nelle creme, oppure in prodotti che richiedono una solidità. Questo è lo svantaggio degli oli vegetali e il vantaggio dell’olio di palma. L’olio di palma, però, ha un contenuto di acidi grassi saturi maggiore, come il burro e la carne, quindi deve essere utilizzato nella dieta in quantità moderate e giuste. Utilizzato in quantità moderate è giuste non crea nessun problema dal punto di vista salutistico. Dal punto di vista tecnologico, invece, ha dei grossi vantaggi sia sulla consistenza e sulla morbidezza del prodotto, sia sul discorso della shelf-life (vita commerciale di un prodotto, ndr), o stabilità all’ossidazione, perché è molto più stabile degli altri oli. Quindi può essere utilizzato sia per le fritture che negli altri prodotti: come materia prima ha una vita più lunga e questa viene trasferita negli altri prodotti".

Costa di più l'olio di semi di girasole o l'olio di palma? "Ci sono stati degli alti e dei bassi notevoli in questo ultimo anno, che hanno visto in un primo momento schizzare in alto i prezzi di tutti gli oli. Poi c’è stato un momento in cui l’olio di girasole è andato a delle punte molto alte, ma adesso i prezzi sono tornati a scendere perché c’è stata una messa a disposizione da parte dell’Ucraina. Tanto olio di girasole che doveva andare in Asia in realtà viene in Europa, perché ci sono dei problemi logistici con le tipologie di navi a disposizione. Quindi, in questo momento in Europa non c’è problema con l’olio di girasole. Il prezzo si è ristabilito ed è sempre leggermente superiore al prezzo dell’olio di palma, ma non c’è un differenziale così significativo e tutti e due sono significativamente inferiori all’olio di colza e all’olio di soia, che in questo momento ha il prezzo più alto".

L’olio di palma è cancerogeno?

Risolto il problema ambientale con l’olio di palma sostenibile non ci resta che affrontare un altro delicato argomento, quello sulla sicurezza alimentare di questo prodotto. L’olio di palma è o non è cancerogeno? Secondo uno studio Efsa – European food safety authority - pubblicato nel 2016 ci sono tre sostanze cancerogene (2-MCPD, 3-MCPD e GE) che si sviluppano durante i processi di lavorazione di grassi e olii vegetali (compresi oli di colza, di mais, di girasole, di arachidi, etc.), ma solo se raggiungono temperature superiori ai 200 gradi centigradi. Queste sostanze risultano cancerogene, ma solo ad altissime concentrazioni ed è assai difficile che durante le lavorazioni dell’industria dolciaria si raggiungano temperature superiori ai 200 gradi, cosa che invece potrebbe accadere in precedenza, durante i processi di raffinazione dell’olio. Il rischio, dunque, c’è ma è marginale, come per tutti gli altri tipi di olio. Inoltre, non è diverso da quello che deriva dall’utilizzo di altri alimenti a rischio, come l’alcol e la caffeina.

La Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro specifica che il rischio connesso all’uso di olio di palma "non è mai pari a zero, ma per un consumo normale non è neppure molto elevato e rientra in quello che gli epidemiologi considerano il rischio generale legato all’ambiente esterno e agli stili di vita". "L'Efsa non ha mai chiesto il bando dell'olio di palma perché è difficile che concentrazioni pericolose siano raggiunte con la normale alimentazione; inoltre negli ultimi anni il contenuto di queste sostanze nei prodotti industriali è drasticamente diminuito poiché le industrie hanno modificato i propri processi produttivi”. Insomma, come per ogni alimento, dipende dal consumo che se ne fa. “In conclusione è consigliabile non abusare di cibi contenenti olio di palma, ma non c'è alcun motivo ragionevole per eliminarli del tutto".

Rassicurazioni in tal senso arrivano anche da Mauro Fontana. "Dal punto di vista della sicurezza alimentare non c’è nessuna differenza tra l’olio di palma e gli altri oli vegetali. E’ normato e rispetta le norme che l’Efsa e la Commissione europea hanno dato come limiti per garantire la sicurezza alimentare. Per quanto riguarda il discorso nutrizionale, va utilizzato come tutti gli altri alimenti che a seconda del loro contenuto o in zuccheri o in grassi saturi o in sale, devono essere messi all’interno di una dieta salutare con quantitativi logici".

Olio di girasole, cosa succederà nei prossimi mesi

Il conflitto in Ucraina sembra destinato a durare ancora per molto e quindi fare previsioni sull’olio di semi di girasole è davvero difficile. Carlo Tampieri, presidente del Gruppo oli da semi, afferma che "l’industria è tornata a respirare aria di normalità. L’orizzonte è però ancora incerto e rischia di diventarlo sempre di più se la guerra non dovesse finire a breve". Sembra, dunque, alleggerirsi la pressione sul fronte dell’olio di girasole, anche perché una parte degli approvvigionamenti dall’Ucraina sono ripresi, passando dalle navi alla gomma e ai treni. Inoltre, le aziende hanno cercato di diversificare i fornitori rivolgendosi a mercati di diversa provenienza. "Oggi il quadro appare più definito - osserva Tampieri - possiamo affermare che, in Europa ed in Italia, la disponibilità dell’olio di girasole nei prossimi mesi ci sarà".

E per il futuro? I timori si spostano sulla produzione, in particolare sulle semine di cereali in Ucraina visti gli ostacoli derivanti dal conflitto. "La guerra è ancora in corso - sottolinea Tampieri - ed è quindi difficile sapere quale sarà la disponibilità di terreni, del personale addetto. Non dimentichiamo che molti uomini sono precettati per la guerra. Senza dimenticare le sementi e i fertilizzanti che in buona parte per l'Ucraina arrivavano dalla Russia. Le previsioni per il prossimo anno sono per un calo della produzione del 20-30% rispetto all’anno precedente - dichiara Tampieri -. Il nostro augurio è che presto il conflitto abbia fine, scongiurando così i rischi di una crisi alimentare globale". Il futuro del settore si gioca però anche sulla sicurezza degli approvvigionamenti. "I nodi da sciogliere sono ancora tanti, come le modalità di trasporto, l’implementazione delle rese produttive e la ricerca, grande dimenticata, senza la quale sarà impossibile aumentare i quantitativi di oleaginose in Italia. A tale scopo, la costruzione di una politica di filiera, a Roma come a Bruxelles, appare più che mai prioritaria".