Nano Morgante. Quand’anche riuscissimo, dopo plurimi tentativi, a liberarci materialmente di un fardello mentale che nella mente infuria, non converrebbe illudersi circa la definitiva liberazione dell’affanno: l’ animo umano alimenta incessantemente la produzione di pensieri angosciati & pre-occupazioni e rimpiazza in un battito di ciglia un pensiero tossico con un altro, anche inventandovi correlazioni.
A ribadire il concetto, quand’anche riuscissimo a sottrarci ad una circostanza ansiogena, la relativa pre-occupazione non verrebbe azzerata, poiché, anche cessando quella determinata forma, una nuova forma la verrebbe subito a rimpiazzare.
Ciò costituisce la lotta vana di “non essere troppo intralciato da me stesso”, citando A. Gide: quando la volontà di arginare e risolvere circostanze drammatiche trova, per clandestina attitudine umana, insormontabile ostacolo nell’individuo stesso.
Per altro verso, ogni proclamazione alfieriana di volontà di successo è pre-destinata ad essere pratica inevasa.
Mutatis mutandis, la questione, collocata nel pertinente ambito emotivo, può trovare una sintesi nella dissacrante considerazione di A. Karr, “l’amore è in chi ama, l’amato è un pretesto”.
Sia come sia, nell’ambigua articolazione di ciò che abbiamo in mente, la padronanza sui propri pensieri resta un proposito vanaglorioso, in sé solo un esorcismo sui precedenti infruttuosi tentativi.
Fatto sta che ogni imperativo di sottrarsi, anche solo di allentare la morsa delle pre-occupazioni, dichiara la sottaciuta consapevolezza di una inadeguata condizione emancipata.
In merito, la comune volontà di giustificare, anzi di sostenere convintamente, sempre e comunque i propri pensieri differisce di fatto, rinvia, la possibilità di eliminare una quota dell’affanno. Ne costituisce una forma di rinuncia.
In conclusione, anche infervorati dalla volontà, sempre e comunque resta valida la considerazione di SJ Lec: “il peso di un pensiero va calcolato la lordo, me compreso”. Massimiliano Barbin Bertorelli