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Il Pd è atteso a un ricambio generazionale che forse i veterani del partito non concederanno

Anche se la scrittrice Viola Ardone, parlando ieri a piazza del Popolo dove si è tenuta la manifestazione di chiusura del Partito democratico, ha detto che «il finale di questa storia non è scritto», tutti ma proprio tutti pronosticano per i dem un lunedì nero che più nero non si può, così che lo scoramento è penetrato anche nel midollo del partito: e queste sono le ore del raschiamento di tutti i barili per evitare un temporale storico.

Tuttavia un buon clima, ieri, parecchia gente, tanti comizi (anche Michele Emiliano, anche Vincenzo De Luca, buona ovazione per Stefano Bonaccini), tutti con un solo obiettivo: battere quella destra che nella stessa piazza 24 ore prima aveva svelato la sua natura estremista.

A Enrico Letta – durissimo a difesa della «Costituzione più bella del mondo nata dalla resistenza», è l’ultimo leit-motiv – basta salvarsi in corner, sperare che Giorgia non stravinca, si può perdere sì ma senza crollare al tappeto, il che fuor di metafora significa, come ci ha detto uno dei massimi dirigenti, «evitare che il partito salti per aria». Il rischio c’è. Salvarsi vuol dire stare ben sopra il 20%, sotto questa cifra può accadere di tutto.

I più scommettono su un risultato che consentirà a Letta di restare al suo posto guidando una transizione più o meno rapida verso un nuovo gruppo dirigente e una nuova linea politica.

Ormai non è un mistero che la figura destinata a tenere insieme un Partito democratico sconfitto dalle urne, insieme a Letta o al suo posto, sia quella di Elly Schlein (ieri applauditissima dalla piazza dem) che pur continuando a non convincere parte del partito e soprattutto di suoi apparati consolidati può avere i titoli per incarnare una fase diversa, “di movimento”, più aperta, più nuova (qualunque cosa voglia dire questo aggettivo che negli ultimi anni si è riferito a personaggi che con la novità c’entrano poco, ultima Giorgia Meloni, una professionista della politica da anni).

L’endorsement del Guardian non è passato inosservato. Il giornale progressista inglese, paragonandola alla newyorkese Alexandria Ocasio Cortez, l’ha definita «l’astro nascente della sinistra italiana», e se l’accostamento a AOC è discutibile, e nemmeno benaugurante, è vero che in questa campagna elettorale “Elly” è piaciuta assai per il suo radicalismo concreto espresso senza urlare e senza promettere la luna. In una intervista alla rivista Time la vicepresidente dell’Emilia-Romagna già fa l’anti-Meloni: «Non tutte le donne leader aiutano altre donne, c’è differenza tra leadership di una donna e leadership femminista. Una donna primo ministro che non difenda i diritti di tutte le donne, a partire dal diritto di scelta, non serve alle altre donne».

È una figura che sarebbe stata bene nel “primo Pd”, quello di Walter Veltroni (il quale tra parentesi in questa campagna ha osservato un silenzio molto eloquente), giovane e trasversale tra diverse culture. Se si tratterà di dar vita a un nuovo gruppo dirigente ci sarà lei assieme a personaggi tipo Stefano Bonaccini, Giorgio Gori, Marco Bentivogli, Antonio De Caro.

Il futuro è un’incognita. La prima questione aperta è questa: i nuovi verranno “accompagnati” dai vecchi o ci sarà una battaglia generazionale? Se anche prevalesse una condotta più soft, senza scontri, è comunque chiaro che qualcuno degli attuali big dovrà farsi da parte. Ma il tema vero è quello della linea politica di un Partito democratico uscito malconcio dalle urne.

Anche qui è un segreto di Pulcinella. L’istinto più che la ragione conduce i dirigenti del partito, anche di correnti diverse, al riaggancio con Giuseppe Conte, che nella sua ultima incarnazione si è travestito da “progressista” e che probabilmente avrà tutto l’interesse a mantenere questo posizionamento che gli garantirebbe due risultati: prendersi di fatto un Pd “movimentista” e fare lui l’anti-Meloni. Un inquietante capolavoro di trasformismo.

I piccoli potentati del Partito democratico potrebbero persino essere d’accordo, a patto naturalmente che vengano conservate le rendite di posizione (di potere) di cui bene o male dispongono, mentre la coppia Schlein-Bonaccini non avrebbe difficoltà a replicare su scala nazionale il “modello emiliano” già vincente in quella regione che comprende un’alleanza con il M5s, anche se in Emilia-Romagna conta pochissimo.

Elly Schlein, veltronianamente, potrebbe essere in grado di tenere tutto insieme nel nome di un nuovo progetto da coltivare all’opposizione – donna contro donna – mentre Letta sarebbe un traghettatore dalla sconfitta alla (auspicata) ripresa. La piazza lo ha acclamato – «Enrico, Enrico» – e lui si è emozionato pensando a quell’altro Enrico. Ma non sono più quei giorni là.