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Intesa governo-Pd sulle armi a Kiev, ma il sesto invio sarà a gennaio

ROMA - Il sesto decreto interministeriale per fornire armi all'Ucraina arriverà all'inizio del nuovo anno. Quasi certamente i primi giorni di gennaio. E sarà preceduto da un decreto - che dovrebbe approdare già domani in Consiglio dei ministri - utile a dare cornice giuridica per l'intero 2023 al sostegno militare a Kiev. A sera, il governo fissa la tabella di marcia. Per decisione di Giorgia Meloni, non arretra sulla linea atlantista. Una scelta obbligata anche dalla necessità di rimediare a un pasticcio parlamentare del centrodestra. Quello che porta l'esecutivo a tentare prima un blitz e poi a ritirare l'emendamento che serviva a dare copertura giuridica all'invio di armi all'Ucraina per il prossimo anno. Una mossa pensata senza consultare le opposizioni. Che infatti fallisce, sconfitta dal muro alzato in particolare dal Pd. Ma che produce anche un fatto ulteriore, a sera: la premier fa ritirare proprio l'emendamento della discordia di fronte all'impegno formale dei dem di approvare il decreto entro la fine dell'anno, nonostante la sessione di bilancio.

Mettere in fila i fatti aiuta a comprendere la dinamica in corso. Per aggirare l'ostruzionismo del Movimento ed evitare di "bucare" - complice l'ingorgo causato dalla legge di bilancio - la proroga delle forniture militari a Kiev per tutto il 2023, il centrodestra prova ad affidare a una modifica del decreto sulle missioni Nato e sul commissariamento della Sanità calabrese l'impegno a proseguire le forniture militari. Senza alcun dibattito in Parlamento, senza un veicolo normativo adatto, senza dare solennità a un passaggio cruciale per la politica estera dell'Italia. È il ministero dei Rapporti con il Parlamento a gestire la partita tra lunedì pomeriggio e martedì mattina. Prende in prestito un'idea degli uffici legislativi dell'esecutivo e tenta la forzatura parlamentare.

Il colpo di mano fa infuriare grillini e rossoverdi, ma soprattutto scatena la reazione del Partito democratico, la forza più collaborativa rispetto alla postura italiana nel conflitto che infiamma l'Est Europa. Il blitz, come detto, fallisce. L'altolà si consuma in mattinata. "Il Partito democratico ha sostenuto da subito il diritto dell'Ucraina a difendersi dall'invasione russa e continueremo a farlo nel 2023 - avvertono i dem Simona Malpezzi e Alessandro Alfieri - Riteniamo, tuttavia, che sia un errore presentare la proroga degli aiuti con un emendamento, oltretutto dei relatori e non del governo, a un decreto in conversione". Di più: "È del tutto evidente che servirebbe un provvedimento ad hoc assunto dall'esecutivo. Per questo chiediamo che l'emendamento venga ritirato e che si segua la linea che abbiamo sempre mantenuto dal marzo scorso: un decreto specifico con successivo passaggio alle Camere, almeno trimestrale, dei ministri competenti". È un modo anche per far emergere le contraddizioni nel centrodestra, dove Lega e Forza Italia restano sensibili alle ragioni di Putin.

Nel frattempo, però, va in scena un'intensa attività diplomatica sotterranea. La posizione dem, prima di essere affidata alle agenzie, viene illustrata direttamente al ministro della Difesa Guido Crosetto. Il quale condivide le ragioni del principale partito d'opposizione, strappando però l'impegno a valutare positivamente il decreto armi quando arriverà in Aula. Decreto che il Consiglio dei ministri si prepara ad approvare domani o, al più tardi, lunedì. Meloni, insomma, va avanti. E lo fa nonostante gli sgambetti di Lega e Forza Italia. Sono sempre loro ad annacquare la mozione di centrodestra, che sarà votata oggi in Parlamento. E che chiedono e ottengono un'inversione dei concetti contenuti nel testo, predisposto dall'azzurro Giorgio Mulè: prima la richiesta di sforzi diplomatici per la pace, solo dopo le forniture militari.

Certo è che le forniture militari saranno inviate. E che l'asse atlantista, dopo la marcia indietro dell'esecutivo sull'emendamento, regge: il centrodestra si asterrà sulla mozione del Pd, i dem faranno lo stesso su quella di maggioranza. Resta da capire se il prossimo decreto interministeriale conterrà anche una batteria di Samp-T (Roma ne possiede in tutto 6, di cui due dislocate fuori dal territorio nazionale, una in Kuwait). L'idea era quella di cooperare con Parigi, che avrebbe fornito il radar che permette il funzionamento a questa difesa missilistica. Forse anche le recenti tensioni diplomatiche con la Francia, tuttavia, hanno rallentato l'operazione.