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Ira di Ungheria e Polonia sui migranti. Meloni: "L'intesa è un passo avanti"

"È stato come sull'ottovolante: l'ultimo precipizio è servito per scollinare". Nel semideserto palazzo dei congressi del Lussemburgo il D-Day sulla migrazione si trasforma nel day after: pacche sulle spalle e aneddoti gustosi. La svolta è arrivata con l'introduzione della clausola di revisione del Patto sulla migrazione. Perché la riforma è un salto nel buio e nessuno sa per certo come si passerà dai commi ai fatti. Poi ci sono i risvolti politici da tener conto. Ungheria e Polonia, che hanno votato contro, già sparano ad alzo zero. Giorgia Meloni, invece, giudica l'accordo "un passo avanti" e nota come nell'Ue ci sia finalmente "un cambio di priorità".

Ma iniziamo dai perdenti. Il premier ungherese, Viktor Orban, ha tuonato su Facebook che "Bruxelles abusa del suo potere" perché vuole "ricollocare i migranti in Ungheria con la forza e questo è inaccettabile". Dunque una fake news bella e buona perché nell'accordo si stabilisce il principio della "solidarietà obbligatoria" ma i trasferimenti restano volontari. Più fattuale il premier polacco Mateusz Morawiecki. "Il ricollocamento obbligatorio - ovvero il contributo finanziario da 20mila euro a persona - non risolve il problema della migrazione ma viola la sovranità degli Stati membri: la Polonia non pagherà per gli errori delle politiche migratorie di altri Paesi". E su questo si vedrà.

L'iter per arrivare alla pubblicazione in gazzetta ufficiale del nuovo Patto è ancora lungo e d'altra parte in Lussemburgo il Consiglio Ue ha dato luce verde solo a due elementi cruciali della riforma, che si compone di un mosaico di provvedimenti. Adesso, infatti, la palla passa al cosiddetto trilogo, dove Consiglio, Commissione e Parlamento devono trovare la quadra e licenziare un testo comune, che dovrà a sua volta essere approvato dall'Eurocamera e poi nuovamente dal Consiglio. E questo vale per molte altre tessere legislative del mosaico. Berlino, pur definendo l'intesa come un passo "importante" per una soluzione "comune e solidale" della gestione della migrazione, parla apertamente di "bocconi amari da ingoiare" e auspica che il trilogo possa appunto "migliorare" il pacchetto, specie sul fronte delle garanzie e dei diritti umani. La parte che riguarda la possibilità di effettuare trasferimenti in Paesi terzi - nonché l'inclusione delle famiglie con bambini nei centri di permanenza previsti per la procedura rapida, la cui natura non è chiara - è vista come fumo negli occhi dai Verdi e c'è chi, in Lussemburgo, ipotizzava possibili "crisi di governo" per Olaf Scholz. L'Italia approderà al trilogo con un bottino da difendere: il superamento del regolamento di Dublino.

Anche a Roma sono consapevoli che il testo sia migliorabile ma, al momento, si punta innanzitutto a non permettere che sia peggiorato. Poi ci sarà la prova, difficilissima, dell'Eurocamera. L'intesa ha incassato l'endorsement del leader del Ppe Manfred Weber ma molto più tiepida è stata la reazione dei Socialisti. E tra gli eurodeputati Dem si parla apertamente di "accordo deludente". Per Meloni poi c'è da superare lo scoglio degli alleati del Pis, il partito governativo polacco che siede con Fdi nel gruppo Ecr. Al momento del dunque il rischio di una clamorosa spaccatura è dietro l'angolo. Insomma, in Lussemburgo non si è chiuso nulla, semmai si è aperto qualcosa.

Quei Paesi - tra cui l'Italia ma non solo - che spingevano per un'attenzione maggiore sulla dimensione esterna notano come per la prima volta, con il fondo per la proiezione dell'Ue dato dalla solidarietà, si crei un legame chiaro con la dimensione interna. E semmai c'è ancora il Consiglio Europeo di fine giugno per aggiungere altri elementi al quadro, tipo l'azione di contrasto ai flussi illegali e gli aiuti ai Paesi africani. La storia finale del Patto è in pratica tutta da scrivere.

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