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Iren non veste più Armani, l'ad lascia e passa in Enel

Lunedì la designazione a direttore generale del colosso statale. I vecchi e consolidati rapporti con Cattaneo, l'insofferenza verso la governance della multiutility, la difficile convivenza con Del Fabbro. A fine giugno la successione. La palla ai sindaci

Uscito dal gran ballo delle grandi partecipate di Stato, dove per settimane è stato in rampa di lancio per la guida di Terna, Gianni Armani, attuale amministratore delegato di Iren torna in pista: lunedì pomeriggio sarà designato direttore generale di Enel. A volerlo alla guida operativa del colosso energetico statale è Flavio Cattaneo, con il quale il manager romano ha in passato collaborato gomito a gomito, proprio nel gruppo che gestisce le reti. Una figura, quella di Armani, che si attaglia alla perfezione al modus operandi di Cattaneo, un capo azienda dal polso deciso, dal carattere “difficile” e spinoso, avvezzo a comandare ma, dicono le malelingue, assai meno a lavorare. Da qui, la necessità di circondarsi di dirigenti di provata fiducia e competenza, una catena di comando corta a suo diretto riporto, non ultimo per avere il tempo di coltivare le preziose relazioni in salotti e nei giri che contano, non disdegnando il jet set come si confà al marito di Sabrina Ferrilli.

È noto che Armani non facesse mistero da un bel po’ di tempo della volontà di lasciare Iren, lamentando non senza ragione una governance a dir poco “anomala” – la tripartizione societaria dei Comuni azionisti – che rappresenta un forte limite alla vision aziendale e un vincolo alla progettualità futura. Lo stesso rapporto non idilliaco col presidente Luca Dal Fabbro, complice la sovrapposizione di deleghe operative, seppure mutato recentemente in una sorta di sopportazione reciproca, è una delle ragioni innegabili alla base dell’intenzione di cogliere la prima occasione propizia e allettante per lasciare Iren. Cosa che farà a fine giugno.

Quando ancora pareva concreto il suo approdo in Terna, il sindaco di Genova Marco Bucci, cui in base al patto di sindacato spetta la designazione dell’ad, manovrò per aprire la strada all’attuale presidente dell’Autorità Portuale Paolo Emilio Signorini, trovando però un forte ostacolo nella Lega e più esattamente nel sottosegretario alle Infrastrutture Edoardo Rixi. Non ci fu neppure il tempo per ingaggiare un braccio di ferro: la scelta del governo, sgombrò il campo dalla questione che, invece, adesso si ripresenterà a breve.

Questione assai delicata, in primis perché si tratta di una società quotata e non di meno per il frangente nel quale si trova: l’incalzante concorrenza sul mercato domestico da parte di A2a, il rinnovo dei patti parasociali, acquisizioni che sembrano dettate più da eventi contingenti che non frutto di un piano organico, una situazione finanziaria da monitorare. Nodi che rimandano alla non più eludibile domanda sul ruolo che intende giocare nel futuro prossimo Iren nel quadro del più che probabile processo di aggregazione delle multiutility: preda o predatore? Insomma, sul dopo Armani gravano pesanti incognite cui anzitutto i soci pubblici e istituzionali (le fondazioni bancarie) dovranno mostrare di saper cogliere.

La decisione sul successore di Armani (supportato nella trattativa dall’avvocato d’affari Michele Briamonte, ex studio Grande Stevens), giunto in Iren nel maggio del 2021 subentrando a Massimiliano Bianco, spetta, naturalmente, al patto di sindacato tra i Comuni di Torino, Genova e Reggio Emilia. Di nomi, come al solito, ne girano parecchi, dall’ex ad di Acea Giuseppe Gola (messo alla porta dal sindaco di Roma Roberto Gualtieri) al top manager di Algebris Luca Camerano (ex Enel e A2a). Ma quello che sorprende di più è quello di Stefano Donnarumma, che Giorgia Meloni avrebbe voluto proprio al vertice di Enel ma alla fine del risiko delle nomine rimasto senza poltrona sia pure con una buonuscita di 6 milioni e mezzo di euro da Terna. Sfumata l’ipotesi di guidare Cdp Venture Capital, non avrebbe manifestato grande entusiasmo alla prospettiva, a partire dalle questioni di vil denaro: Iren vale come remunerazioni ed emolumenti vari circa un milione l’anno, decisamente meno di quanto percepito nel recente passato e lontano dalle sue aspettative. Ma bisognerà guardare soprattutto a Genova e all’inquilino di Palazzo Tursi, cui spetta l’indicazione, per capire quale e quanto complesso potrà essere il percorso, a partire da quella che per alcuni sarebbe la soluzione più indolore e “naturale”: il passaggio dell’attuale presidente Dal Fabbro al ruolo di amministratore delegato.