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Kosovo-Serbia, i motivi della crisi

All'origine delle tensioni l'elezione dei sindaci di etnia albanese in località a maggioranza serba

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Al centro della crisi culminata oggi negli scontri fra manifestanti e forze di pace della Kfor vi è l'elezione di sindaci di etnia albanese in località a maggioranza serba del Kosovo settentrionale. Il voto si è tenuto il 23 aprile ed è stato boicottato dai serbi, risultando in una misera affluenza del 3,4%. Epicentro della crisi sono i comuni di Zvecan, Leposavic e Zubin, dove negli ultimi giorni vi sono stati violenti scontri fra agenti della polizia del Kosovo e militanti serbi che cercavano di impedire ai nuovi sindaci l'accesso agli uffici comunali.

Le elezioni erano state convocate dalle autorità kosovare dopo le dimissioni in massa dei funzionari pubblici nelle zone serbe del Kosovo. Dimissioni avvenute a novembre in seguito alla decisione di Pristina di imporre targhe automobilistiche emesse dal Kosovo anche nelle aree a maggioranza serba. La scelta di tenere le elezioni era stata fortemente criticata dal presidente serbo Alexandar Vucic che aveva parlato di "giorno terribile per la democrazia" e di "momento di vergogna per l'Europa".

Dal 26 maggio Vucic ha messo in stato d'allerta l'esercito, che ora è stato dispiegato al confine con il Kosovo. Venerdì scorso, Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania, Francia e Italia hanno diramato un comunicato congiunto: "Condanniamo la decisione del Kosovo di forzare l'accesso agli edifici municipali nel nord del Kosovo, nonostante il nostro appello alla moderazione". In una dichiarazione congiunta dei ministeri degli Esteri, i cinque paesi esprimevano inoltre preoccupazione per la decisione di Belgrado di mettere in stato di massima allerta le sue forze ed esortavano tutte le parti a dar prova di moderazione.

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