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L’amour et le divorce: la mostra che indaga la vita e l’amore attraverso il nostro corpo

Veronica Gaido, nella cornice di MIA FAIR che si è appena conclusa, presso lo spazio di Glauco Cavaciuti Arte, ha esposto la sua mostra L’amour et le divorce dove indaga il nostro presente, la vita, e l’amore attraverso il nostro corpo. Curatrice del progetto, Maria Vittoria Baravelli con il nome coniato insieme all’Avvocatessa Valeria De Vellis.

Il nostro involucro la nostra pelle, sono lo strumento per abitare la complessità del reale e si configura come quell’interferenza che ci salva, che ci sottrae a certi automatismi e che rallenta il nostro smaterializzarsi in un mondo digitale fatto di pixel e codici. Del resto, la fine del XX secolo resterà nella storia dell’arte, della fotografia, ma anche del diritto come l’epoca in cui la riflessione giuridica ha dovuto riscoprire il corpo e considerarlo come uno spazio e uno strumento per esercitare la propria libertà, la propria auto affermazione in modo assoluto irrinunciabile e indisponibile a compromessi.

È passato circa un anno da quando il mondo si è spinto oltre il nostro futuro prossimo. Il metaverso ha di fatto aperto la corsa ad una dimensione nuova, a chi l’avrebbe riempita per prima e quindi meglio di tutti gli altri. E in tutte questi scenari, il nostro mondo analogico, la nostra esistenza, che fine hanno fatto?

Veronica indaga il corpo che è la soglia; sconfina ed unisce istanze che forse non dialogherebbero e racconta della nostra figura attraverso fotografie che sono una elaborazione digitale. Corpi reali che diventano virtuali. Entità virtuali che rimandano all’esistenza del qui e ora.

Presenze che Veronica sdoppia, modifica sovrappone accosta ed intreccia. A volte le allontana dimostrando che la vita è così. Raccontando tutte le possibilità di una persona di essere «infinita», come amava dire Pasolini. Attraverso la lunga esposizione, Veronica usa la macchina fotografica alla stregua di un pennello e da oltre dieci anni indaga il movimento e la luce. Il corpo come strumento attraverso cui conosciamo il mondo e l’altro, quella frontiera che ci porta ad avvicinarci o ad allontanarci dalle cose. E se davvero oggi viviamo in un lento diradarsi del confine che separa un dato oggettivo da un vissuto soggettivo, ciò che vediamo, sentiamo, tocchiamo è veramente reale?

La storia della filosofia ci ricorda le mille domande e le poche risposte date a noi esseri umani. Siamo davvero, come diceva Platone nel suo Simposio, alla ricerca di qualcuno che ci completi? Due anime divise che si abbracciano per ritrovarsi intere? Oppure aveva ragione il maestro americano Philip Roth nell’affermare che noi esseri umani nasciamo completi ed «è l’amore che ci spezza»?

L’amour et le divorce, l’avvicinamento e l’allontanamento, una danza continua ed incessante.
Corpi che si incontrano e che si separano. Corpi che si abbracciano, perché quando abbracciamo qualcuno abbiamo l’opportunità di far ripartire il mondo da capo. Un ritmo incessante ed indomabile che proprio come i nostri battiti cardiaci non riusciamo a controllare ma che ci infondono la vita.

E allora il corpo è la soglia. Può essere frontiera o barriera. È l’essere e l’avere. È l’essere stato e l’aver avuto. Come diceva la poetessa Patrizia Cavalli alla domanda di una giornalista «Il corpo è tutto?». Lei rispose: «Il corpo è tutto, è dove sperimentiamo la conquista e la perdita».