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L'incredibile storia di Giulia Ghiretti: «Tutte le mie vittorie, dopo quel terribile incidente»

Un salto. Un salto nemmeno troppo difficile, ma sbagliato. Così, nel 2010, è cambiata la sua vita. Giulia Ghiretti aveva 16 anni quando, durante gli allenamenti di preparazione per i Mondiali di trampolino elastico, cade male. E rimane paralizzata. Incredibilmente, però, Giulia non si ferma: piccola campionessa era, grande campionessa è diventata. Ha solo dovuto cambiare sport ed è passata dalla ginnastica al nuoto. In vasca ha poi vinto 23 medaglie internazionali tra Paralimpiadi, Mondiali ed Europei, ha battuto record su record, senza mai perdere la sua positività e la sua tenacia. 

Oggi tutta la sua storia è raccontata in Sono sempre io, il nuovo libro scritto con il giornalista Andrea Del Bue, pubblicato da Piemme.

Giulia Ghiretti

Ma perché un libro adesso, dopo così tanti anni?
«L'idea è nata da una chiacchierata con Andrea, che, dopo tante interviste, oggi è diventato un amico: “Perché non scriviamo un libro?”. Ci ho pensato e mi sono detta perché no: io spero e credo che raccontare la mia esperienza possa aiutare anche le altre persone in situazioni simili. Io ho fatto non poche fatiche e se posso alleviarle in qualche modo ad altri, beh, ben venga. Nelle pagine ci sono considerazioni su più temi che possano far riflettere e forse anche aiutare a rompere certi imbarazzi».

Lei è sempre sorridente, ma da dove prende la sua forza?
«Non credo che ci sia una ricetta, se non l'amore per la vita, l'amore per se stessi. Credo che l'aiuto più grande ti arrivi da chi ti sta intorno, dalla famiglia e dagli amici. Devi fare i conti con una cosa che ormai è successa, che è più grande di te e non puoi farci niente. Io cerco di fare tutto, magari - certo - diversamente rispetto a prima, ma ci provo sempre, nel modo migliore che posso. È curioso, è come se ogni giorno imparassi qualcosa di nuovo. E con questo libro vorrei spiegare la normalità e la quotidianità della vita su una sedia a rotelle».

Riesce mai ad accantonare in un angolo l'incidente o rimane un pensiero fisso?
«Per me l'incidente c'è stato, ma non c'è. Ovvio, fa parte della mia vita, è successo, ma non tornerei mai indietro».

Come l'ha aiutata lo sport ad affrontare la sua nuova vita?
«Lo sport ha sempre fatto parte della mia quotidianità e mai come quando ero ricoverata ho sentito quanto mi mancassero quelle sensazioni legate alla competizione, allo stare in una squadra, all'attesa dell'allenamento. Il nuoto mi piace e l'ho scelto perché è l'unico sport in cui potevo non avere una sedia e rotelle: in tutto lo sport paralimpico hai una protesi o un ausilio, mentre nel nuoto non hai nulla, sei tu con il tuo corpo. Prima dell'incidente non avevo mai pensato al nuoto e invece ho ritrovato lì quelle stesse sensazioni di fatica e costanza che tanto mi piacevano nella ginnastica».

E quanto è servito lo sport come supporto psicologico?
«In realtà non ricordo nessun momento di buio totale, forse perché non sono mai stata da sola: la mia famiglia mi è stata davvero molto vicina e mi ha spronata a non focalizzarmi su ciò che non potevo più fare, ma su quello che invece avrei potuto continuare a fare».

Adesso come sono le sue giornate?
«Nuoto, nuoto e nuoto. Ho appena fatto il concorso in Polizia come Fiamme Oro e sto finendo si studiare: devo finire la magistrale in Ingegneria biomedica».

Che mestiere le piacerebbe fare poi? 
«Non lo so, vedo che ogni giorno si aprono opportunità nuove. Oggi il nuoto mi occupa tanto: mi scandisce il tempo della giornata e faccio fatica a pensare quello che accadrà fra due anni, mi sembra così lontano…».

Che effetto le fa pensare che un evento negativo abbia portato in fondo a una vita di successo?
«All'inizio non me ne rendevo nemmeno bene conto: quando mi chiamavano dopo le prime vittorie, ero stupita: “che cosa vogliono da me?”. Rispondevo a monosillabi. Poi però con il tempo mi sono sempre resa conto che il parlare delle mie vittorie, raccontare il successo di una gara poteva essere d'aiuto ad altre persone. Negli anni mi sono arrivati tantissimi messaggi di gente che mi ha ringraziato, di gente che si è immedesimata, che ha ritrovato la speranza leggendo delle mie medaglie. E così mi sono resa conto che non si trattava solo di me, che quelle vittorie erano anche per altre persone e questo mi ha reso ancora più felice. In questi anni sono andata tanto a parlare nelle scuole  ed è bellissimo vedere la spontaneità dei bambini, così bravi ad accettare le unicità di ciascuno. Sono sempre curiosissimi di capire come faccio a fare le loro stesse cose nonostante le mie differenze».