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La Crusca alla Cassazione: niente schwa, sì al femminile delle professioni nelle sentenze

Niente schwa o asterischi e no anche all'articolo davanti ai cognomi femminili. Sono alcune delle regole indicate dall'Accademia della Crusca dopo una domanda arrivata dal Comitato Pari opportunità del Consiglio direttivo della Corte di Cassazione sulla parità di genere nella scrittura degli atti giudiziari. La questione va oltre questi atti, per un uso della lingua che sia rispettoso delle differenze di genere, ma la risposta è un'indicazione che può avere senso generale.

Questi i principi indicati:

  1. Evitare le reduplicazioni retoriche. In base al principio della concisione ai quali si ispira la revisione generale attualmente in corso del linguaggio giuridico, sono da limitare il più possibile interventi che implichino riferimento raddoppiato ai due generi, espediente pur largamente utilizzabile in contesti di pubblica oratoria e di valenza retorica. Intendiamo riferirci al tipo «lavoratori e lavoratrici, cittadini e cittadine, impiegati e impiegate». Quando questo non sia possibile, il maschile plurale inclusivo, a differenza del singolare, è accettabile.

  2. No all'uso dell’articolo con i cognomi di donne. Se non si capisce il genere della persona di cui si parla si può aggiungere il nome di battesimo: «La presenza di Maria Rossi» o «La presenza della testimone Rossi».

  3. No a schwa e asterischi. «Esclusione dei segni eterodossi e conservazione del maschile non marcato per indicare le cariche, quando non siano connesse al nome di chi le ricopre. La lingua è prima di tutto parlata, anzi il parlato gode di una priorità agli occhi di molti linguisti, e ad esso la scrittura deve corrispondere il più possibile». È da escludere nella lingua giuridica l’uso di segni grafici che non abbiano una corrispondenza nel parlato, introdotti artificiosamente per decisione minoritaria di singoli gruppi, per quanto ben intenzionati. Va dunque escluso tassativamente l’asterisco al posto delle desinenze dotate di valore morfologico («Car* amic*, tutt* quell* che riceveranno questo messaggio…»). Lo stesso vale per lo scevà o schwa, l’ǝ dell’alfabeto fonetico internazionale che rappresenta la vocale centrale propria di molte lingue, non presente in italiano, ma utilizzata in alcuni dialetti della Penisola.

La lingua giuridica non è sede adatta per sperimentazioni innovative minoritarie che porterebbero alla disomogeneità e all’idioletto. «In una lingua come l’italiano, che ha due generi grammaticali, il maschile e il femminile, lo strumento migliore per cui si sentano rappresentati tutti i generi e gli orientamenti continua a essere il maschile plurale non marcato, purché si abbia la consapevolezza di quello che effettivamente è: un modo di includere e non di prevaricare».

  1. Il femminile delle professioni da usare senza esitazioni. Si deve far ricorso in modo sempre più esteso ai nomi di professione declinati al femminile. Questi nomi possono essere ricavati con l’applicazione delle normali regole di grammatica (ingegnere > ingegnera, il presidente > la presidente...).

Qui il parere completo dell'Accademia della Crusca.

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