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La destra cerca tecnici non avendo politici all’altezza, ma anche il Pd ne avrebbe bisogno

C’è un doppio paradosso in questa fase politica: al governo ci vorrebbero i politici piuttosto che i tecnici, al Partito democratico ci vorrebbero i tecnici oltre ai politici.

Partiamo dalla prima questione che riguarda le attuali baruffe spartitorie tra i tre “alleati” del centrodestra. ognuno reclama ministeri per sé. Sta emergendo con chiarezza quello che qui e non solo qui si è scritto molte volte, e cioè che Fratelli d’Italia non dispone di una classe dirigente di livello.

Ci sono quelli che più o meno capiscono di politica ma di grandi competenze non si vede l’ombra (e ci scusi Guido Crosetto che ha una personalità più sfuggente, anomala). Per questo Giorgia Meloni sta cercando un tecnico di livello per l’economia, «uno che faccia quadrare i conti e insieme abbia una visione», non disponendo evidentemente di un dirigente che sia in grado di governare una difficile situazione dell’economia, e lo stesso dicasi per altri ministeri non proprio secondari come la Farnesina.

Nulla di scandaloso, anche il centrosinistra in passato ricorse a tecnici come Tommaso Padoa-Schioppa, ma il suo premier all’epoca era un economista di vaglia come Romano Prodi mentre la premier in pectore non vanta un particolare curriculum in questa materia.

Ma poi la vera contraddizione sta nel fatto che per anni la destra ha rotto i timpani gridando contro i tecnici «non votati da nessuno» ed evocando il primato della politica eccetera eccetera, e ora che ha vinto le elezioni, e dunque «è stata votata», a sua volta non si mostra in grado di gestire direttamente il dicastero più importante, come quello di via XX Settembre.

Si potrà elogiare l’umiltà di Meloni nell’ammettere la sua non conoscenza della materia, ma anche basta con la retorica del primato della politica che, almeno Fratelli d’Italia, non è in grado di vantare.

La vicenda conferma il gigantesco punto dolente della politica, cioè la mancanza di dirigenti preparati, esperti, tecnicamente affidabili. È una storia vecchia.

La politica italiana è stata sempre concepita esclusivamente come scienza a sé, come arte del possibile, spesso del compromesso, a metà strada tra pensiero e convenienza, piuttosto che come capacità di realizzare concretamente le cose possibile solo a patto di conoscere i problemi.

Sta al politico – parafrasando Max Weber – mettere mano negli ingranaggi della Storia, cioè dello Stato. I tecnici al massimo aiutano e così si è andati avanti sinora. Specie nella Seconda Repubblica, esistono poche eccezioni di leader politici tecnicamente forti, certo Carlo Azeglio Ciampi, il già ricordato Prodi, gli altri hanno sempre avuto la postura del totus politicus o addirittura sono state figure estranee sia alla politica che alla tecnica (Berlusconi).

È sempre più evidente che questo è un problema dei partiti, più o meno tutti. I gruppi dirigenti sono formati secondo logiche che tutto ammettono tranne la preparazione tecnica, specifica, prevalendo piuttosto la capacità politica intesa come sapere di tutto un po’ ma di nulla in particolare.

Ecco perché diciamo (con una punta di ironia) che al Partito democratico servirebbe davvero qualche tecnico che perlomeno spiegasse ai dirigenti come funziona lo Stato, la sua economia, le tematiche dell’innovazione tecnologica, la sfida ambientale: nel merito, non con gli slogan. In campagna elettorale questa insufficienza tecnica si è avvertita. Nessuno si senta offeso, ma questa sarebbe per il Partito democratico una bella sfida. Senz’altro, meglio delle Agorà di Enrico Letta.