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La disfatta di Lega e Forza Italia, nel mirino Zangrillo e Molinari

Tempo di bilanci in Piemonte. Il Carroccio è passato da 18 a 8 parlamentari, ancora peggio i berluscones: da 16 a 4. I due coordinatori accusati di aver favorito i rispettivi cerchi magici. Ma forse non basterà per salvare la ghirba. Movimenti romani

Il “cordiale incontro” tra Silvio Berlusconi e Matteo Salvini, ieri pomeriggio ad Arcore, dietro “la ribadita massima comunità d’intenti con Giorgia Meloni” non nasconde i mal di pancia e le preoccupazioni che l’esito elettorale porta inevitabilmente con sé per le due forze politiche la cui somma dei voti resta lontana dal risultato ottenuto da Fratelli d’Italia. Per non dire delle transenne che il leader della Lega sa bene siano poste sulla sua strada verso il Viminale e altri ministeri a lui preclusi.

Uno stare sul podio, ma al secondo e terzo posto con una differenza rispetto a chi è arrivato primo domenica scorsa che resta difficile da digerire. Una situazione che inevitabilmente si riflette anche su quella abusata e usurata definizione geografica cui la politica si attacca (spesso come a un tram) quando le resta poco da dire e da fare, ovvero “i territori”, locuzione che ben descrive la distanza tra dinamiche nazionali e ricadute locali. Ecco, cosa succede nei territori, mentre a Roma (e nella dependance berlusconiana di Arcore, così come nel fortino scrostato nell’antica tinta padana di via Bellerio) si discute e tratta di ministeri e posti di sottogoverno? 

Se in Lombardia ormai è guerra aperta e resa dei conti alle viste tra il governatore leghista Attilio Fontana e la sua minacciosa concorrente alla guida del Pirellone Letizia Moratti, in Piemonte c’è chi dall’interno del partito del Cav, rinuncia all’ennesima citazione del cuore e per spiegare quel che sta succedendo scende anatomicamente più in basso: “Adesso la preoccupazione di Alberto Cirio è recuperare il suo fedelissimo Marco Perosino, non rieletto, con un posto da sottosegretario, ma deve vedersela con il viceministro uscente Gilberto Pichetto, lui riconfermato ma trasmigrato alla Camera. Siamo al derby della prostata”, ecco.

Settant’anni l’ex avatar del governatore in Parlamento, due di meno il già coordinatore regionale azzurro in Piemonte, due teenager rispetto al Capo che, restando in tema, avrebbe in animo di piazzare l’ex infermiera, oggi sua badante politica, Licia Ronzulli al ministero della Sanità. Quattro anni fa per curare il partito in Piemonte, lo aveva messo nelle mani di Paolo Zangrillo fratello del suo medico personale e fresco di elezione in Parlamento. Quattro anni dopo la cura ha funzionato, se doveva essere dimagrante. Forza Italia in Piemonte è scesa da 16 a 4 parlamentari.

Certo, c’è stata la riduzione dei posti a Montecitorio e Palazzo Madama, c’è stato un calo in tutto il Paese, ma tant’è questi sono i numeri che danno immediatamente più l’idea del risultato di quanto già non avvenga con le percentuali. Tra gli eletti, naturalmente, Zangrillo c’è e ci sono i suoi dioscuri Roberto Pella e Roberto Rosso che egli ha provveduto a blindare. Il quarto è il già citato Pichetto. Finirà sul banco degli imputati, come ormai quei pochi iscritti al partito chiedono? Verrà giubilato lasciando il posto a qualcuno in grado di non rassegnarsi ad essere il commissario liquidatore? Chissà, qualcosa tra Roma e Arcore pare si stia muovendo.

Quale sarà l’effetto, sui territori in questo caso del Piemonte, di una pattuglia così sparuta per una forza politica aggrappata al suo “caro leader” e fortemente ridimensionata dal successo dell’alleato, quattro anni fa fermatosi attorno al 4%, che al contrario ha utilizzato un criterio diverso e più “ecumenico” per le candidature? 

La domanda non cambia molto se si guarda in casa leghista. Il calo di peso, in questo caso, è stato non meno significativo: dei 18 parlamentari della scorsa legislatura il partito di Salvini in terra allobroga ne ha persi 10 e, probabilmente, sarebbero stati ancora di più se meno fossero stati i collegi uninominali – tutti sicuri nel Piemonte2 – “concessi” dalla Meloni all’alleato.

Come in Forza Italia, anche nella Lega il segretario Riccardo Molinari ha costruito una rete di candidati il più possibile di fedelissimi, lui come Zangrillo al Senato ha vinto nell’uninominale per la Camera di Alessandria, la sua provincia. Ma quegli otto parlamentari, il doppio di quelli forzisti, riusciranno a “coprire” un territorio, fatto di militanti ed elettori di un partito travagliato al suo vertice nazionale e sull’umore dei quali giocherà il peso che la Lega avrà nel Governo? Molinari dopo il voto pare assai meno solido della vigilia: non è sufficiente nascondersi dietro la comune disfatta per coprire le proprie responsabilità nella scelta dei candidati e nella pervicace volontà di stringere il cerchio attorno a sé impedendo l'arrivo di nuove forze (guardate anzi con sospetto). Troppo distratto dalla sua carriera romana ha lasciato il partito andare a rotoli, invischiato in lotte intestine, beghe locali, invidie personali tra i vari capataz. Cambierà registro, come molti chiedono? I novaresi sono stati chiari: così non si può andare avanti, mandando a bordo campo il sindaco Alessandro Canelli a scaldarsi.

E quanto la strategia dei Fratelli d’Italia nella distribuzione delle candidature farà sentire i suoi effetti sugli alleati e nei rapporti, incominciando dal terreno della Regione passando per i Comuni dove governa il centrodestra?  L’immagine della seconda e terza forza politica del centrodestra in Piemonte, con le scelte dei loro vertici e i risultati delle urne, è difficile da non ricondurre a quella di due fortini. Quanto possano rischiare di tramutarsi in Fortezze Bastiani è difficile dirlo, ma non ci vorrà molto per capirlo.