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La voce e le storie di chi vive per strada: “Anche chi lavora non può permettersi una casa a Trento. I dormitori? Pieni ma la notte fa sempre più freddo”

TRENTO. “Siamo stati ai dormitori ma ci hanno chiuso la porta in faccia perché non c’era posto”, nonostante i proclami della politica la situazione per i senza dimora in Trentino resta critica. L’assessora alla Salute e alle politiche sociali, Stefania Segnana, aveva promesso che entro questa settimana sarebbero stati aperti i dormitori gestiti dalla Provincia per un totale di 234 posti letto, eppure molte persone sono ancora per strada. Non solo, recentemente la Provincia si è adoperata per inviare 125 migranti, che avevano presentato la domanda di asilo in Trentino, in Sardegna perché in uno dei territori più ricchi d’Italia non ci sono posti nel sistema d’accoglienza.

I senza dimora si concentrano soprattutto a Trento e Rovereto. Nel capoluogo occupano gli anfratti della città, ponti, sottopassi e porticati. Spesso invisibili anche se vivono sotto gli occhi di tutti. Fermandosi a parlare con chi vive per strada si scopre una babele di lingue, le nazionalità sono fra le più variegate e pure le storie sono molto diverse fra loro.

C’è chi arriva dalla Slovacchia e mescolando italiano e spagnolo ci racconta che preferisce dormire in strada perché questa è la vita che ha scelto “es mi modo di vivere”. In molti però chiedono almeno un posto caldo per passare la notte, durante l’inverno. “All’inizio non è facile chiedere aiuto ti vergogni ma poi per necessità ci fai l’abitudine” afferma un altro dei senza dimora che vive a Trento. “In questi giorni ho fatto il giro dei dormitori ma non ci sono posti e le liste d’attesa sono molto lunghe”. La stessa risposta l’ha ricevuta Miguel (tutti i nomi sono di fantasia), nato in Argentina è appena uscito di galera: “Nelle mie condizioni trovare lavoro è impossibile quindi vivo alla giornata con quello che riesco a procurarmi, poi quel poco che abbiamo cerchiamo di condividerlo per aiutarci a vicenda”.

Avere un lavoro però non garantisce automaticamente una casa. Mario è italiano, non ha ancora cinquant’anni, e in estate ha lavorato come cameriere in un ristorante sul lago di Garda: “Anche se ho uno stipendio non posso permettermi una casa, gli affitti sono troppo alti, se sei fortunato il contratto comprende un alloggio ma ormai tutti gli appartamenti vengono affittati ai turisti e per chi lavora non c’è posto. Ho lavorato anche nelle località sciistiche, mi arrangio come posso, per una stagione ho dormito nel locale della lavanderia a gettoni che almeno era riscaldato”. Youssouf invece arriva dal Senegal, è in Italia dal 2012: “Avevo un contratto di lavoro regolare, poi l’ho perso e ora mi trovo qui. Per fortuna ogni tanto ci sono i volontari delle associazioni che ci portano qualcosa di caldo da mangiare e coperte per scaldarci”. In queste condizioni persino accedere ai servizi più elementari come le cure mediche diventa un’impresa. 

La situazione è seria e anche le varie realtà che offrono assistenza sono sotto pressione. “A maggio contavamo 40 persone mentre a novembre sono state 300” racconta Alex, uno dei volontari del Tabita di Trento, il centro in corso 3 Novembre che offre supporto a chi vive per strada. “Abbiamo funzionato come punto d’incontro per le varie associazioni ma le persone che hanno bisogno di aiuto non sono semplicemente aumentate, sono più che raddoppiate con l’avvicinarsi dell’inverno”. Al Tabita si rivolgono soprattutto gli uomini, per la maggior parte richiedenti asilo: anche qui c’è chi, come Mario, sta lavorando ma con i prezzi degli affitti che sono saliti alle stelle non riesce comunque ad avere una casa.

“In questo periodo – prosegue Alex – c’è un gran bisogno di coperte, giacconi, scarpe, guanti e cappelli, elementi essenziali per le persone che vivono per strada. Da parte nostra continuiamo a distribuire questi materiali e nel frattempo collaboriamo pure con i volontari della comunità di Sant’Egidio”. La richiesta è tale che al Tabita hanno deciso di aprire un giorno in più alla settimana: “Da novembre a febbraio, generalmente, crescono le persone che passano dalla stazione. Con i treni di questi giorni arrivano 15-20 rifugiati per volta”.

Da tempo realtà come l’Assemblea antirazzista di Trento denunciano le condizioni in cui queste persone sono costrette a vivere: “La Provincia non fa abbastanza e di certo la questione abitativa non è fra le priorità di chi governa il Trentino”. Anche il segretario della Cgil, Andrea Grosselli, ravvisa gli stessi problemi: “Le carenze del sistema sono crescenti, non c’è la volontà di costruire un Trentino capace di accogliere. L’inverno arriva tutti gli anni, si potrebbe programmare per tempo l’apertura dei dormitori ma ci troviamo sempre in questa situazione di emergenza”.