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Lega, tentazione scissione in Lombardia. Ribelli con Moratti per indebolire Salvini

«La scissione ormai è nei fatti», dice pensieroso un (ancora per quanto?) leghista. In Regione Lombardia ci siamo quasi: la costituzione di un nuovo gruppo consiliare al Pirellone, con 5-6 eletti dalla Lega, è quasi pronta. La convinzione è che il partito a immagine e somiglianza di Matteo Salvini, la “Lega per Salvini premier”, non sia più riformabile. I segnali di plateale insofferenza della fronda ribelle ci sono stati, e anche pesanti: la sconfitta della maggioranza del (fu) Capitano nei congressi provinciali prima di Bergamo e poi di Brescia, la vittoria per soli 12 voti nella Varese delle origini di un candidato non ostile a Salvini. L’aria che tira è pessima, e a Brescia per dire la neosegretaria Roberta Sisti sostenuta dal Comitato Nord di Umberto Bossi è stata oggetto di diversi insulti social da altri militanti nei giorni precedenti al congresso. Come si fa a dare la spallata definitiva al segretario federale, in carica ormai da nove anni? Qui le idee sul da farsi sono diverse.

Bossi ai preparativi

Bossi, assieme a Paolo Grimoldi e Angelo Ciocca, intanto sabato scorso ha saggiato la forza militante a sostegno del correntone verde: il risultanto è stato incoraggiante, vista la sala piena al Castello di Giovenzano, coi tesserati arrivati anche da Liguria, Emilia-Romagna, Veneto, Piemonte e Trentino. Sul palco della manifestazione di lancio ufficiale del Comitato Nord c’erano diversi consiglieri al Pirellone: Massimiliano Bastoni, Roberto Mura, Andrea Monti, Silvia Scurati, Simona Pedrazzi, per citarne alcuni. Essendo ormai dichiaratamente eretici, verranno mai rimessi nelle liste per le prossime regionali? Da questa domanda passa molto delle prossime mosse. Commentando la giornata di sabato la neocommissaria milanese Silvia Sardone, che non viene dalla storia della vecchia Lega ma da FI, diceva che «noi siamo già al lavoro per le elezioni, c’è da fare un sacco di cose, vengano a darci una mano, mancano le braccia». Come a dire: loro si lamentano, noi si lavora per il bene del partito. E però è esattamente questo atteggiamento liquidatorio — lo stesso di Salvini che facendo gli auguri ai neoeletti segretari delle varie province lombarde puntualizzava, «mentre altri chiacchierano noi coinvolgiamo e facciamo scegliere i militanti» — che sta aumentando il solco che divide le due Leghe.
In un partito dove i salviniani di stretta osservanza oggi al comando sono visti e raccontati da tutti gli altri come dei miracolati che vivono di luce riflessa, non ha destato simpatia l’elezione a Como di Laura Santin, compagna del commissario regionale Fabrizio Cecchetti. Una vittoria facile, visto che lì era l’unica candidata. I neo-bossiani, “uomini liberi” come si definivano sabato, indecisi se strappare subito o meno, hanno notato le parole ieri proprio a Milano di Massimiliano Fedriga, il presidente del Friuli Venezia Giulia e ipotetico contraltare salviniano; «parole da leggere attentamente», per dirla con Grimoldi. Ovvero: «Quando ci sono i processi democratici è ovvio che ci sia un confronto, è il bello della democrazia. Quando non ci sono questi processi ci si lamenta, e quando ci sono invece diciamo menomale». Non una presa di posizione ma di sicuro un attestato di simpatia e comprensione per il Comitato del Nord e per la propria battaglia interna.

Il passaggio di voti

Ma restando alla Lombardia, chi preme per la rottura subito ha già in mente di farlo sostenendo Letizia Moratti. La riflessione è semplice: portando via voti e militanza alla Lega dislocarli altrove, il risultato del Carroccio sarebbe ancor più deludente del previsto e a quel punto Salvini non potrebbe più fare finta di nulla. Ci rimetterebbe Attilio Fontana, che al Comitato non considerano un nemico. Ma sono gli effetti collaterali di ogni conflitto.