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Legge elettorale, il M5s scarica il Pd e inciucia col centrodestra

PALAZZO LASCARIS

I grillini chiedono l'elezione diretta del secondo candidato presidente sconfitto, prefigurando una corsa solitaria alle Regionali del 2024, e sostengono lo sbarramento voluto dalla Lega. Dem isolati preparano le barricate: "Senza di noi la riforma non passa"

La discussione sulla nuova legge elettorale del Piemonte avrebbe dovuto compattare le minoranze e invece ha già fatto deflagrare un ipotetico campo largo di centrosinistra. Il Movimento 5 stelle va per conto suo e tratta con la destra, il Pd si ritrova isolato a difendere i suoi nanetti dallo sbarramento, il tutto mentre i Moderati ormai sembrano aver varcato il Rubicone e s’apprestano a piazzare le tende sull’altra sponda. Così nella riunione di tutte le minoranze organizzata all’ora di pranzo per fare il punto sulla proposta del centrodestra ognuno ha svelato i propri piani in vista delle elezioni del 2024.

Ha sorpreso in particolare la posizione della capogruppo grillina Sarah Disabato che non solo è tornata a chiedere che anche il secondo candidato presidente sconfitto entri di diritto in Consiglio – lasciando intendere che una corsa solitaria dei Cinquestelle non è una possibilità remota – poi ha anche ammesso di essere d’accordo con l’ipotesi del centrodestra di fissare una soglia di sbarramento al 4%, potenzialmente letale per alcuni alleati dei dem come la lista Monviso di Mario Giaccone o le varie sigle della galassia progressista ed ecologista che a Torino fanno capo al deputato Marco Grimaldi. Che ci sia un tacito patto tra M5s e centrodestra per uno scambio? Lo sospetta e lo teme il Pd, che infatti alza le barricate: “Non possiamo accettare una legge che prevede l’esclusione di quelle forze politiche che da anni compongono il centrosinistra. Il centrodestra non provochi il Pd e la coalizione di centrosinistra perché tanto, senza di noi, la riforma della legge elettorale non si farà” affermano in una nota il capogruppo Raffaele Gallo e i colleghi Domenico Ravetti e Domenico Rossi.

“L’introduzione dei sottosegretari, proposta dal centrodestra – proseguono i dem – comporta un inutile aumento dei costi della politica”. Poi la frecciatina ai pentastellati: “Siamo contrari all’elezione di diritto del secondo presidente sconfitto. Se vogliamo inserire questo meccanismo, che contraddistingue le elezioni comunali, inseriamo anche il ballottaggio fra i due candidati presidente più votati, come il M5s aveva proposto nel 2015”.

Dopo una iniziale disponibilità a discutere di sottosegretari e consiglieri supplenti ora il Pd si arrocca e dà il suo assenso solo all’introduzione della doppia preferenza di genere come richiesto dalle norme nazionali “e lasciare l’attuale legge elettorale così com’è senza alcuna soglia di sbarramento”. Il poco tempo a disposizione gioca a vantaggio del Pd dal momento che la deadline fissata dagli uffici per l’approvazione della riforma elettorale è il 30 giugno, in mezzo c’è il bilancio da approvare e per le modifiche allo statuto serve la doppia lettura in aula.

Assente, un po’ per impegni familiari un po’ per la distanza che lo separa dai suoi (ex?) compagni di coalizione il rappresentante dei Moderati, Silvio Magliano, mentre Francesca Frediani di Unione popolare mira a togliere lo sbarramento pure alle forze fuori dalle coalizioni, anche in questo caso confermando la linea del partito di de Magistris di correre da solo – come sta accadendo già in Lombardia e nel Lazio – sperando in un exploit alle urne con cui ottenere il resto più alto e approdare così a Palazzo Lascaris.

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