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Lucia Tancredi – Jacopa dei Settesoli (la ricca amica di Francesco)

Lucia Tancredi – Jacopa dei Settesoli (la ricca amica di Francesco). Recensione di Roberta Rondini – Nell’ottavo centenario del Primo Presepe di Greccio e della Regola dei Frati Minori ben si inserisce il nuovo lavoro di Lucia Tancredi, Jacopa dei Settesoli. la ricca amica di Francesco, per le edizioni Città Nuova.

Non una biografia in senso stretto, è, diversamente, abile e sapiente tessitura di un racconto, testimonianza letteraria e culturale, su Jacopa, Francesco d’Assisi e sul tempo che li attraversò.

Lucia Tancredi non è nuova in questo specifico operare, ha già pubblicato un paio di libri su donne e mistica e sul sacro femminile, argomenti di non semplice trattazione ma con i quali sembra trovarsi in grande agio, con passo lieve e poetico: il primo su Monica, la madre di Agostino, e l’altro su Ildegarda di Bingen, monaca benedettina, mistica medievale e molto altro, intellettuale a tutto campo, consigliera di pontefici e imperatori. Anche questo volume, dunque, ci consegna una lettura del femminile e al femminile acuta, originale e ricca di suggestioni per l’oggi.

Su Jacopa dei Settesoli, poiché le fonti sono ristrette e i documenti originali scarsi e in parte controversi, la scommessa di Lucia Tancredi è stata quella di lavorare su una tenue traccia storica intrecciandola  al verosimile letterario e a stimolanti suggestioni culturali; un molto immaginato ma non falso che  “riscrittura e invenzione” avvolgono in una trama fascinosa e avvolgente. La sua scrittura alterna e attorciglia le invenzioni letterarie ad inserimenti culturali precisi e a puntate aneddotiche sul tempo di Francesco e delle donne che lo seguirono, restituendoci una visione a tutto tondo, non scontata, di quelle vicende.

Un inquadramento culturale che rende ben comprensibile l’operare e il vivere dei protagonisti, espressione e prodotto di quella educazione “cortese” di derivazione francese che molti rampolli aristocratici e ricchi del tempo ricevevano in famiglia. Anche le donne di alto lignaggio, infatti, pur con differenze con l’educazione maschile, erano educate agli insegnamenti propri della Courtoisie e ai suoi stili di vita, al Fin Amor cantato dai troubadour, al culto cavalleresco della donna, tramite per arrivare a Dio.

La Francia, in particolare la terra di Provenza, era stato il focolare di questa cultura ‘alla moda’ e anche Francesco, ricco di famiglia, non era sfuggito a questa consuetudine. Del resto sua madre, Pica, era probabilmente di origine francese e suo padre Bernardone, al ritorno da un viaggio in quei territori, decise di chiamare il figlio non Giovanni, il vero nome, ma Francesco, Francese, a conferma del  tipo di educazione che andava per la maggiore in certi ambienti.

Ed è perciò molto interessante osservare in questo territorio del centro-Italia vicende storico-sociali molto irrituali che riguardarono in particolare donne straordinarie, in un ambito privato e pubblico non facile per il sesso femminile. Non solo di Jacopa, dunque, racconta questo libro, ma anche di Chiara e delle sue consorelle, le future clarisse, e di Francesco naturalmente.

Alcuni mesi fa è uscito nelle sale il film di Susanna Nicchiarelli, Chiara che riporta i momenti salienti della sua vita e ne evidenzia il coraggio estremo nel perseguire gli ideali di povertà e castità indicati da Francesco. Il film è molto interessante, anche rispetto a questo volume perché anch’esso nel focalizzare aspetti importanti della questione femminile si aggancia ai temi e ai modi prediletti da Lucia Tancredi, in qualche modo ulteriormente arricchendoli, utilizzando, per esempio, la dimensione musicale, con canti e musiche in scena, laddove Tancredi usa le visioni e gli incanti poetici.

Nel caso di Chiara, è la scelta consapevole di una vita incerta e grama di povertà e di testimonianza cristiana, per la quale abbandonò provenienze nobiliari, ricchezze e sicurezza e si espose a vendette e violenze familiari. La condizione della donna (ricca) nel Medioevo non consentiva scelte di autonomia e di libertà di vita ma due alternative, il matrimonio o la vita claustrale, nel cui caso era consentito trasferire in convento gli agi propri della provenienza nobiliare. Era comunque una condizione privilegiata perché per il resto delle donne, quelle di condizione umile, non c’erano altre possibilità che seguire il solco di fatica, povertà e malattie della propria classe e condizione sociale.

Nel caso di Jacopa, personaggio centrale nella vita di Francesco d’Assisi e importante figura femminile nella Roma di quello scorcio del Duecento, lo strappo sarà solo apparentemente meno lacerante di quello di Chiara ma non meno leggero. Per entrambe furono scelte estreme e molto coraggiose, rese conseguenti anche dall’aver ricevuto in famiglia una educazione colta e aperta ad influssi sovralocali, insomma dall’aver raggiunto una consapevolezza di sé e delle proprie strade che solo una dimensione culturale molto avanzata e aperta poteva assicurare.

Il racconto su Jacopa si sviluppa come un continuum leggero e poetico, intonato alla sensibilità del tempo per linguaggio e tocco descrittivo. Ma la sua vicenda terrena e il rapporto con Francesco prendono corpo anche con riferimenti talvolta pungenti al vero storico, alle difficoltà che il Santo incontrò già durante la vita e ancor più dopo la morte, evidenziati plasticamente nei contrasti tra assisiati e perugini nel contendersi l’appropriazione del luogo della sua dipartita – “Perché Francesco vale più morto che vivo” – e molto presto per le voci dissonanti che si inserirono e in parte tentarono di addomesticare l’originario ideale francescano.

–        Madre, che cercava quel fratello?

–        Nulla, senza Francesco siamo tutti barche che urtano sui becchi delle rocce.

La nobildonna, da lui chiamata Frate Jacopa per indicare il rapporto speciale che a lei lo avvolgeva, fu legata al Santo da profonda e fraterna amicizia, un rapporto tra un uomo e una donna inusuale per il tempo, reso possibile solo per il fatto che Jacopa non era vincolata al voto religioso e alla clausura ma era autonoma per la sua condizione nobile e ricca.

Secondo alcune fonti il primo incontro avvenne a Roma nel 1209 [1] dove Francesco si era recato per ottenere l’approvazione delle Regole del suo ordine monastico da Innocenzo III e dove Jacopa viveva.

Quando qualcuno mi chiede quale Frangipane sono, dico: quella del Settizonio. Quella dei Settesoli.

E mi fanno una riverenza come a una castellana.

Sto intronata in una torre dentro la conca del cielo, a due passi dal sole.

Roma in basso è acquattata nella resa dei tetti.

Discorro coi campanili.[2]

Jacopa divenne da quel momento uno degli amici influenti e altolocati che lo sostennero sempre anche contro l’ostilità di parte della Curia.

Me l’avevano detto e non volevo crederci: c’è un matto che predica agli uccelli.

A Roma di matti che predicano ce n’è per tutti i gusti e le misure. Ma questo predica agli uccelli come uno stregone di campagna. E allora, qual è la novità?

Che gli uccelli lo stanno a sentire.

La prima sede romana dei francescani fu l’ospedale San Biagio, fondato secondo la tradizione da Jacopa, in seguito trasformato nel convento di San Francesco a Ripa, a Trastevere, dominio dei conti normanni, famiglia di appartenenza di Jacopa, e dei conti Anguillara.

Jacopa, di nobili origini normanne (le trecce bionde dipinte da Giotto negli affreschi ad Assisi ne sono il segno), alta educazione e cultura, era di famiglia aristocratica e compassionevole – sposa giovanissima secondo il costume del tempo ad un suo pari, il nobile Graziano Frangipane de’Settesoli [3],

Sono sette i soli che fanno il sigillo di famiglia. Non uno, sette soli in processione, nel cielo delle stelle fisse della nobilissima schiatta dei Frangipane.

 e altrettanto giovane presto vedova per la morte precoce del marito – decise, nonostante le pressioni ricevute anche nel contesto papale nel quale viveva e agiva, di non risposarsi, restando libera e padrona della sua vita, e di amministrare le vaste e  ricche proprietà (le terre e i castelli sparsi a Roma e nella Campagna Romana fino ad Astura e Cisterna) mantenendo una scelta di vita di povertà e testimonianza francescane, trasmettendola come ideale anche ai figli.

Chiudo gli occhi. Lui è di fronte, con la sua ombra.

–               Io sono ricca – gli dico – E lui:

–               Non importa, ama a continua a camminare.

La loro amicizia perseverò e si rinsaldò fino alla morte di Francesco nel 1226, alla quale Jacopa fu presente, da lui chiamata, con amore ed estrema cura, preparando fin da Roma il panno per la tonaca che lui le aveva richiesto, panno grezzo color cenere, nel tipo di quello tessuto dai monaci circestensi nei paesi d’oltremare, una coperta di lana d’agnello, da lei filata con il vello di un piccolo di pecora che Francesco le aveva regalato tempo addietro, un cuscino ricamato, la cera per la sepoltura e gli amati biscotti romani di farina, mandorle e uova tanto da lui apprezzati – forse i mostaccioli?

Alcuni ulteriori spiragli su Jacopa ci sono forniti nel ciclo di affreschi delle storie di San Francesco di Giotto della Basilica superiore di Assisi: nella scena relativa all’ultimo saluto di Chiara e delle compagne alla salma di Francesco, viene raffigurata una figura femminile di spalle, vestita di rosso, colore del sacro femminile, con lunghe trecce bionde, che verosimilmente viene indicata come Jacopa dei Settesoli. E l’autrice ci ricorda anche che Giotto prima di dipingere gli affreschi si era peritato di ascoltare le testimonianze dirette di chi lo aveva conosciuto, non dando ascolto soltanto alle “voci del tempo” che già  iniziavano a diffondere versioni rivedute della stessa biografia di Francesco, in particolare per l’azione di Bonaventura da Bagnoregio che, nominato Generale del francescani nel 1266, scrisse la Legenda di Francesco, una versione revisionata della sua vita, sottacendo ed eliminando momenti importanti, compresi quelli che riguardavano Jacopa e il suo ruolo.

Ma Jacopa, che non era già più su questa terra da alcuni anni – morì nel 1239 – non ne soffrì.

“Ora sapevo che Francesco era testimone della luce, del giorno nuovo. Se il nome è già destino, prima di essere Francesco lui era stato Giovanni.”

[1] Cfr. https://irp.cdn-website.com/cdb358dd/files/uploaded/Jacopa%20dei%20Settesoli-2007.pdf , Omaggio a “Frate Jacopa”. Pagine di storia e arte per una nobildonna votata a “Madonna Povertà”, testi di Ugo Onorati e Franco Campegiani.

[2] Il complesso del Septizodium di Settimio Severo già in rovina, alla fine dell’VIII secolo divenne una fortezza baronale i cui ruderi entrarono nei possessi dei Frangipane. La tradizione riporta che al Circo Massimo nella Torre della Moletta Jacopa ospitò l’amico Francesco. Cfr. https://www.capitolivm.it/meraviglie-di-roma/il-septizodium-di-settimio-severo/

[3] Cfr. Omaggio a “Frate Jacopa”, cit. Il cognome Frangipane sarebbe legato all’uso di famiglia di distribuire il pane ai poveri, “frangere panem”.