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Mohammed Al Turki, il cinema è un grande ponte

Il ragazzo ha le idee chiare da sempre. Oggi lo vedi sui red carpet dei festival del cinema abbracciato a grandi attori e a registi famosi. Ma ieri, il tappeto non proprio rosso era quello steso nel retro della suamacchina, dove noleggiava dvd, appena sedicenne, agli amici adolescenti in Arabia Saudita. Si chiama Mohammed Al Turki ed è un volto molto conosciuto dagli addetti ai lavori di tutti ifestival del cinema. Mohammed si muove con eleganza, sorride sempre e non sbaglia un colpo.

«Di errori, in realtà, ne ho fatti molti e forse sono stati anche più importanti delle cose giuste», confessa. «Però negli ultimi anni è come se coltivassi una missione più grande di me. Qualcosa che ha a che fare col cinema, col mio Paese e forse anche con Dio». 

Beh, direi che punta in alto.
«Diciamo che è anche una lunga storia. Da dove vuole che inizi?».

Iniziamo dalle presentazioni. Chi è Mohammed Al Turki?
«Sono il ceo del Red Sea International Film Festival, una rassegna, una piattaforma e un fondo, con base in Arabia Saudita, che si occupano di sostenere e promuovere i film prodotti nel Middle East. La prima edizione di questa kermesse, nel 2021, è stata un grande successo. Stiamo preparando la prossima per la prima settimana di dicembre 2022. È un grande impegno e un sogno che si realizza».

E lei chi sogna di essere?
«Da bambino ho sempre sognato il cinema. Sono nato in una piccola città dell’Arabia Saudita. I miei genitori mi hanno cresciuto con amore, sono sposati da cinquant’anni, sono il mio modello di vita. Siamo la classica famiglia del Middle East, papà e mamma più due figli e due figlie. Però, come dice mio padre, qualcosa non ha funzionato visto che io e mio fratello ci siamo dedicati a due lavori creativi, mentre le mie sorelle sono impiegate nel mercato del petrolio e del gas. Ho sempre adorato il cinema, da ragazzino come le dicevo affittavo i dvd dal bagagliaio della mia macchina con Michelle, un’amica a cui ero molto legato. Ma trovare un lavoro in questo settore non è stata una passeggiata, anche perché gran parte del cinema era bandito in Arabia Saudita».

Come ha conquistato il mondo del cinema?
«Ero un bambino pieno di sogni, uno di quelli che durante le lezioni guardava fuori dalla finestra pensando all’ultimo film visto o a come sarebbe stato quello ancora da vedere. Ho avuto la fortuna di studiare a Londra dove sono stato introdotto alle pellicole di Fellini, a Fritz Lang, e mi sono innamorato perdutamente di tutto il cinema europeo. Ho amato follemente Pedro Almodóvar e ho iniziato a seguire anche produzioni messicane come Y tu mamá también. Però, mentre studiavo, sapevo che dovevo avere due piani: uno, quello dei sogni, legato al cinema. L’altro, più realista, connesso al business più tradizionale. Ovviamente, il mio primo lavoro riguardava il secondo piano: ero impiegato in Arabia Saudita in un’agenzia che si occupava di responsabilità sociale e rebranding delle aziende. Stavo otto ore alla scrivania sognando di fare altro. Infatti quando un’amica mi propose di seguire la produzione di un suo film a New York, un vero salto nel vuoto, dissi subito “Sì, ci sto!”».

Come fu quell’esperienza?
«Un caos meraviglioso. Mio padre fu molto contento perché, pensava, finalmente avrei fallito e poi capito la vera strada da percorrere. Invece, in mezzo alle mille peripezie di una produzione indipendente, riuscimmo a realizzare The Imperialists Are Still Alive!, pellicola di Zeina Durra con l’attrice francese Élodie Bouchez, che arrivò persino al Sundance Festival. Fu così che iniziai a lavorare seriamente in questo campo. Poi arrivarono grandi produzioni come Arbitrage (La frode, ndr) con Richard Gere e una serie di impegni che mi catapultarono in un vero e proprio frullatore».

Un frullatore?
«Oh sì, un vortice senza fine di set, eventi, promozioni, festival, aerei, alberghi. E poi, da capo set, eventi, festival... Un giorno ero a Los Angeles, l’altro in Europa, poi a New York e infine a New Orleans. Vivevo a Los Angeles ma mi spostavo di continuo: abbiamo girato otto grandi film in meno di quattro anni. Una vita complicata. Infatti, alla fine mi ritirai per quasi un anno».