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Mostro, la storia di Jeffry Dhamer fa il record di visualizzazioni su Netflix: la nostra recensione

di Stefano Di Maria

MOSTRO – LA STORIA DI JEFFRY DHAMER si è rivelato un successo mondiale. Basti pensare che, secondo quanto riferito nei giorni scorsi da Deadline, nella prima settimana si è registrato uno streaming di 196 milioni di ore, salite nella seconda settimana a 299 milioni.

Eppure lo show è stato pubblicato senza battage pubblicitario. Certo al successo hanno contribuito le polemiche. A partire dalle associazioni LGBTQ, che hanno chiesto a Netflix di rimuovere il tag “gay” perchè non vogliono giustamente essere identificate con la storia di un cannibale omosessuale (richiesta prontamente accolta). Ci sono poi state le contestazioni dei familiari delle vittime, che hanno trovato di pessimo gusto riaprire vecchie ferite con una serie di cui si poteva fare a meno.

Un fatto è sicuro: Ryan Murphy ha ancora fatto centro: con MOSTRO – LA STORIA DI JEFFRY DHAMER ha tracciato la nuova frontiera dell’horror psicologico. La sua versione della storia del mostro di Milwaukee è un ricostruzione sì fedele ai fatti ma molto introspettiva: il creatore e regista è più interessato alla mente dell’assassino, alla sua vita e alla sua formazione, piuttosto che alle sue azioni terrificanti. Tanto che, benché Jeffry Dhamer sia noto come il cannibale di Milwaukee, soltanto in una scena si vede mentre cucina in padella carne umana. Chi si aspetta sangue e corpi squarciati, dunque, rimarrà deluso.

MOSTRO, LA STORIA DI JEFFRY DHAMER – LA VICENDA

Tra il 1978 e il 1991 Jeffrey Dahmer ha ucciso con ferocia diciassette vittime innocenti. La serie getta luce su questi crimini atroci, focalizzando l’attenzione sulle vittime trascurate e sulle comunità oggetto di razzismo sistemico e dell’incompetenza della polizia, che ha permesso a uno dei più celebri serial killer degli Stati Uniti di perpetrare la propria follia omicida alla luce del sole per oltre un decennio.

MOSTRO, LA STORIA DI JEFFRY DHAMER – LA RECENSIONE

Evan Peters, enfant prodige “adottato” da Ryan Murphy fin dalle prime stagioni di AMERICAN HORROR STORY, è qui alla sua migliore prova attoriale. E’ evidente, da come interpreta Dhamer, che ha studiato attentamente il suo personaggio: parla come lui, si muove come lui, nei suoi occhi c’è la lucida follia di un serial killer che non aveva pietà per nessuna delle sue vittime: ragazzi gay adescati nei locali della città. Peters fa venire i brividi, ma non è da meno il ragazzino che interpreta Dhamer da adolescente, quando sventrava i corpi degli animali col padre (inconsapevole delle conseguenze psicologiche che avrebbe generato sul figlio, poi segnato dall’abbandono di genitori disfunzionali). La serie analizza, attraverso la biografia del serial killer, come le sue esperienze di vita possano avere influenzato la sua devianza mentale, pur lasciando il dubbio che quella di Dhamer fosse una predisposizione genetica a commettere crimini così efferati.

Il cast è di grande livello, anche se inevitabilmente tutti gli altri attori vengono oscurati dall’interpretazione così brillante di Evan Peters: è lui a dominare lo schermo, pure quando non si vede.

La scrittura pecca di qualche ingenuità, ma nel complesso rende alla perfezione il clima di razzismo diffuso in America a quei tempi, che tanto ha influito nel permettere a Dhamer di commettere i suoi crimini indisturbato: la polizia non prendeva sul serio le segnalazioni della vicina di casa di colore, che sentiva puzza di cadavere, grida e rumori di attrezzi. Una vicenda attuale più che mai coi venti di razzismo che soffiano ancora oggi, a dimostrazione di come l’odio razziale possa influenzare il giudizio compromettendo la sicurezza di una comunità.

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