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Nel Pd ci si fa la guerra sulla guerra

In quel mondo di un’altra dimensione che è il Partito Democratico accade che ci si faccia la guerra sulla guerra. Un piccolo passo indietro.

10 mesi fa, nel pieno della campagna elettorale pre-elezioni politiche Letta e tutti i suoi hanno ripetuto in ogni comizio, intervista, comparsata tv che dir si voglia che l’eventuale vittoria della destra avrebbe messo in discussione il sostegno dell’Italia all’Ucraina. Insomma, con la Meloni a Palazzo Chigi avrebbero rialzato la testa i filo putiniani, Salvini e Berlusconi, e avremmo fatto un passo indietro facendo una brutta figura nei confronti della Nato e dell’occidente intero tradendo la nostra posizione atlantista, la Nato etc etc etc. Torniamo ad oggi.

L’Italia è uno dei paesi che in maniera più netta è dalla parte di Zelensky come dimostrano i gesti del Governo Meloni e le parole del Presidente della Repubblica, Mattarella. È al Nazareno che il vento è cambiato, di 180° soprattutto dopo l'arrivo alla segreteria di Elly Schlein.

La nomina a nuovo vice capogruppo alla Camera di Paolo Ciani è l’ultimo tassello di un percorso piuttosto silenzioso che potrebbe portare al clamoroso passo indietro dei dem verso Kiev. Lo ha detto al momento della nomina lo stesso Ciani (non iscritto al Pd e che non ha alcuna intenzione di iscriversi): «Sono contrario all’invio delle armi, non credo nella vittoria militare, cioè ad armare l’Ucraina perché possa vincere. Anche il Pd ora può cambiare linea». E non è l’unico a pensarla così. Quello che differenzia Ciani ad esempio da Orlando o Rosy Bindi è il coraggio di andare fino in fondo con le proprie idee ma il cambiamento è evidente anche nelle dichiarazioni di facciata.

Fino a un paio di settimane fa qualsiasi esponente dem ad una domanda sulla posizione del partito riguardo la guerra rispondeva così: «Siamo accanto all’Ucraina, paese aggredito, ma bisogna lavorare per la pace». Oggi i fattori si sono cambiati i posti. Oggi, alla stessa domanda, la risposta è: «Bisogna lavorare per la Pace, trovare una soluzione (quale?); comunque restiamo con Kiev».

Non è una cosa da poco, è il primo grande passo di un cambio totale di linea in grado si di raccogliere gran parte del vento pacifista che si muove in Italia e che fino ad oggi è patrimonio esclusivo del Movimento 5 Stelle. Dall’altra però allontanerebbe in maniera quasi clamorosa il partito dall’atlantismo, dalla Nato, dall’alleanza con gli Stati Uniti (che in maniera informale hanno già fatto sapere che seguono con attenzione ed interesse le scelte degli ex comunisti). E questo non potrà non causare altri scossoni interni, addii eccellenti, problemi di coscienza.

In molti sostengono che alla Schlein manchi il coraggio di compiere alla luce del sole questa virata e quindi abbia scelto la linea dei piccoli passi, fatti da altri, per poi chiudere il cerchio in maniera meno dolorosa possibile. Segno di forza del segretario o ennesima prova di debolezza? Il dubbio circola, sempre più rumoroso nei corridoi e nelle stanze del Nazareno. Il Partito dove, alla fine, la guerra tra correnti è l’unica cosa certa.