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Pensioni, gli aumenti dal 2023 non sono uguali per tutti: ecco i nuovi importi

Novità in arrivo

Nella legge di bilancio varata del governo di Giorgia Meloni è previsto un nuovo sistema basato su sei fasce di reddito per l'adeguamento dei trattamenti pensionistici all'inflazione. Cosa significa in termini pratici

Il testo della manovra del governo Meloni per ora è "solo" una bozza in 136 articoli divisi in 15 titoli: il Parlamento può ancora apportare modifiche. Fatta questa doverosa premessa, cosa c'è in manovra sulle pensioni? Il pacchetto pensioni della legge di bilancio si basa principalmente sulle uscite anticipate dal 1º gennaio al 31 dicembre 2023 con la cosiddetta quota 103 (41 anni di contributi e 62 anni di età). Chi sarà in possesso dei requisiti di quota 103 e deciderà di rinviare il pensionamento potrà beneficiare di una decontribuzione: avrà un bonus del 9,19% in busta paga. In altre parole, chi ha maturato i requisiti per la nuova quota 103, ma resta al lavoro, percepirà un salario comprensivo della quota di contributi che altrimenti sarebbe stata versata all'Inps: lo abbiamo spiegato qui, nel dettaglio. Secondo quanto emerso finora, quota 103 non sarà però cumulabile con un altro reddito (c'è un limite di 5mila euro), sarà agganciata ad alcune finestre d'uscita e avrà un tetto sull'assegno.

Ma non è l'unica novità. La legge di bilancio varata dal governo di Giorgia Meloni, infatti, prevede un nuovo sistema basato su sei fasce di reddito per l'indicizzazione delle pensioni all'inflazione. In sintesi, questo meccanismo fornirà un aumento "maggiorato" per le pensioni minime e una rivalutazione piena per i trattamenti pensionistici fino a 2.100 euro lordi. Per chi riceve un assegno più sostanzioso è in arrivo una "stretta". Ma andiamo con ordine.

Il passaggio da tre a sei fasce di reddito

Lo scorso 9 novembre, il ministro dell'economia Giancarlo Giorgetti ha firmato il decreto che dispone, a partire dal 1° gennaio del 2023, l'adeguamento del 7,3% dei trattamenti pensionistici. L'importo della misura è stato calcolato sulla base dell'inflazione calcolata dall'Istat. Poi il governo con la manovra ha deciso di archiviare il sistema attualmente in vigore basato su tre fasce di reddito: rivalutazione del 100% per i trattamenti fino a 4 volte il minimo Inps (circa 538 euro), 90% per gli assegni compresi tra 4 e 5 volte il minimo e 75% per tutte le pensioni superiori a 5 volte il minimo. Il nuovo sistema è invece composto da sei fasce di reddito che ricevono una diversa indicizzazione: a beneficiare maggiormente della novità sono le pensioni minime, che nel 2023 riceveranno una rivalutazione maggiorata all'8,8%, che salirà poi al 10% l'anno successivo.

I nuovi importi delle pensioni dal 1° gennaio 2023

Il sistema di calcolo non è progressivo, non è per scaglioni come con l'Irpef, ma a fascia: dunque un'aliquota unica applicata a tutto l'importo. La rivalutazione maggiorata porterà così le pensioni minime ad avere un bonus più alto rispetto agli altri trattamenti, in percentuale: nel 2023 saliranno di 46 euro netti, andando a superare i 570 euro. Nel 2024 poi la cifra dovrebbe superare i 580 euro. Per quanto riguarda invece le altre fasce di reddito, i trattamenti pensionistici fino a 4 volte il minimo dell'Inps (circa 2.100 euro lordi) avranno una rivalutazione al 100%, cioè il 7,3% della cifra totale stabilito dal decreto del ministero dell'economia. Significa che gli assegni da mille euro lordi cresceranno così di 73 euro lordi, per una cifra totale di quasi 950 euro l'anno: al netto la rivalutazione è intorno ai 52 euro. Le pensioni da 1.500 euro avranno invece un aumento di 75 euro netti, e le pensioni da 2mila euro di 100 euro netti.

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Come cambiano gli importi delle pensioni dal 1° gennaio 2023 - Foto Ansa

Per le pensioni che superano la soglia di 4 volte il minimo Inps, arriva invece una stretta nella rivalutazione: l'adeguamento al costo della vita scende infatti all'80% per chi è titolare di un trattamento compreso tra 4 e 5 volte il minimo, e al 55% per chi ha una pensione tra 5 e 6 volte il minimo. La "stretta" è ancora più forte per chi ha una pensione alta: la rivalutazione sulla base dell'inflazione sarà infatti del 50% per chi è titolare di un trattamento pensionistico tra 6 e 8 volte il minimo, del 40% tra 8 e 10 volte il minimo e del 35% per le pensioni superiori a 10 volte il minimo. I trattamenti da 2.500 euro lordi al mese saranno ad esempio rivalutati del 5,8%, con un amento lordo di 140 euro (90 netti) e una perdita di circa 40 euro al mese rispetto allo schema in vigore nel 2022.

La stretta diventa ancora più evidente guardando alle pensioni più alte: un trattamento lordo da 3.500 euro al mese salirà di 128 euro lordi, rinunciando a 108 euro lordi. Per una pensione da 4mila euro lordi il taglio sarà di 118 euro mensili, che diventano circa 206 lordi per gli assegni da 5.500 euro. A seimila euro la rivalutazione sarà soltanto del 2,6%, per un incremento nel cedolino di 87 euro al mese.