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Pensioni, Quota 103: tutto quello che c’è da sapere per decidere se anticipare il ritiro dal lavoro o continuare

Pur apprezzando che si stia facendo strada – anche nei partiti politici fino ad ora restii – la convinzione che la questione dell’innalzamento dell’età pensionabile effettiva sia un passaggio indispensabile per fare fronte agli squilibri demografici e alle loro conseguenze sullo stesso mercato del lavoro e che ciò avvenga all’interno della maggioranza prima ancora che nella sinistra politica e sindacale (tuttora a caccia di farfalle sotto l’Arco di Tito), non possiamo non interrogarci – limitatamente al piano tecnico – sull’utilità della soluzione sperimentale adottata dal governo nel ddl di bilancio, dove vengono introdotti, per il solo 2023, un nuovo accesso a pensione anticipato rafforzato da un incentivo al trattenimento in servizio dei lavoratori. Le norme (articoli 53 e 54) sembrano rivolte a contemperare differenti esigenze di ordine politico (come l’assatanamento di Matteo Salvini per quota 41), di carattere nostalgico (come il ritorno al mito del superincentivo di Roberto Maroni di cui alla legge n.243/2004) e di contenimento della spesa, visto che è molto discutibile destinare risorse di una certa importanza a favore di lavoratori anziani/giovani che dispongono di tante uscite di sicurezza se dovessero trovarsi in condizioni di effettivo disagio o bisogno per sé o la propria famiglia (si pensi all’Ape sociale, ai quarantunisti/precoci e ad opzione donna).

QUOTA 103: LE CONDIZIONI PER POTERNE USUFRUIRE

L’accesso al pensionamento anticipato richiede, contemporaneamente, almeno 62 anni di età e 41 anni di contributi (quota 103). Inoltre, si prevede una condizionalità (si avverte l’influenza dell’Ape sociale) secondo la quale il trattamento pensionistico può essere erogato a condizione che il valore lordo non sia superiore a cinque volte il trattamento minimo. Tale condizionalità è finalizzata a disincentivare un eccessivo ricorso allo strumento di anticipo pensionistico per evitare di determinare eventuali carenze di organico per particolari settori professionali. Il requisito contributivo può essere raggiunto cumulando gratuitamente tutti i periodi contributivi non sovrapposti cronologicamente presso tutte le gestioni Inps, escludendo conseguentemente tutte le casse professionali. Analogamente a “Quota 100 e 102”, dalla decorrenza del trattamento scatta un divieto di cumulo reddituale fino all’età pensionabile di vecchiaia con unica deroga di una soglia di cumulabilità di 5.000 euro di lavoro autonomo occasionale.

QUOTA 103: COME FUNZIONA L’INCENTIVO A RESTARE IN SERVIZIO

La disposizione prevede un incentivo al trattenimento in servizio per i lavoratori dipendenti che, pur avendo maturato i requisiti pensionistici della misura “quota 103” (ossia abbiano compiuto 62 anni di età e versato almeno 41 anni di contributi), decidano rimanere in servizio di ritardare l’accesso alla pensione. Tale incentivo prevede la possibilità di percepire uno stipendio, comprensivo della quota dei contributi a carico del lavoratore dovuti all’AGO dei lavoratori dipendenti e alle forme sostitutive della medesima (pari al 9,19%). Questa misura viene contrabbandata in analogia al cosiddetto “bonus Maroni” introdotto per il periodo 2004-2007. Ma si tratta di operazioni diverse: il bonus Maroni durava tre anni e consisteva nel trasferimento in busta paga del 32,7% della retribuzione per di più esentasse (si veda la tab.1 per quanto riguardava i benefici reali che hanno costituito per il 95 mila aderenti un vero e proprio ‘’bottino’’).

Retribuzione annuaBeneficio nominaleBeneficio reale
24.00032,7%45%
35.00032,7%48%
59.00032,7%52%
80.00032,7%54%
Quanto si intascava con l’incentivo (in euro)

Il riconoscimento del nuovo bonus non è automatico, in quanto è l’interessato a dover decidere se fruirne o meno. Il datore non può in alcun modo imporre questa soluzione al dipendente. Quanto alla pensione futura, il dipendente, nel momento in cui esercita questa opzione, non accumula più propri versamenti previdenziali, di conseguenza il montante individuale su cui poi si calcolerà la pensione resta fermo. PMI.it ha indicato anche i vantaggi e gli svantaggi dell’operazione.

‘’Il vantaggio per il lavoratore che sceglie quest’ultima opzione è che, pur avendo maturato un diritto a pensione, continua a percepire uno stipendio, che anzi sarà più alto perchè incamera anche i contributi previdenziali (quelli a suo carico in misura del 9,19% della retribuzione, ndr).

Il punto a sfavore, invece, è che alla fine avrà una pensione più bassa di quella che avrebbe continuando a versare i contributi previdenziali, fruendo di un montante inferiore ed applicando un coefficiente di trasformazione anagrafico più basso.

C’è anche un secondo svantaggio, di natura fiscale: qui bisogna attendere i dettagli, ma se (come sembra) la norma non prevede agevolazioni in questo senso, le somme in più che confluiscono in busta paga sono a tutti gli effetti elementi della retribuzione, e come tali tassati. In pratica, quindi, il lavoratore pagherà più tasse’’. C’è poi un altro aspetto che è sfuggito nei commenti. I beneficiari di quota 103 e, al momento dell’accesso alla pensione, coloro che – rinunciandovi – incassano l’incentivo, dovranno pagarseli, almeno in parte, di tasca propria, perché incorreranno nel taglio previsto sulla perequazione automatica. Il ddl va in Parlamento e pertanto è plausibile che vi siano delle modifiche.

QUOTA 103: DIFFICILE SCEGLIERE TRA PRO E CONTRO

Allo stato attuale è molto complicato per un lavoratore orientarsi sull’opzione per lui più conveniente: deve avvalersi di un algoritmo che tenga conto degli aspetti fiscali (l’eventuale passaggio ad un’aliquota superiore) e degli effetti dell’incentivo sullo stipendio a fronte delle conseguenze sul trattamento pensionistico, avendo ben presente che il calcolo avverrà col sistema contributivo almeno dal primo gennaio 2012. Viene poi da chiedersi per quale motivo, se si ritiene che l’incentivo possa essere utile a rinviare il pensionamento non sia stato esteso anche a coloro che si avvarranno del requisito ordinario di pensione anticipata (bloccato fino a tutto il 2026) di 42 anni e 10 mesi per gli uomini e un anno in meno per le donne a prescindere dalla età anagrafica. Non è affatto escluso che molti di questi soggetti siano in grado di maturare quel requisito prima di aver compiuto i 62 anni canonici. Infine è opportuno rendersi conto che – come è avvenuto con quota 100 e quota 102 – è abbastanza difficile che i due requisiti, entrambi necessari e rigidi, vengano a coincidere nello stesso anno. Ne deriva che quanti ne maturano uno solo devono attendere, magari per alcuni anni, di maturare anche l’altro. Nel caso di quota 103 un requisito contributivo più elevato trascina inevitabilmente in su anche quello anagrafico.

PENSIONI: GLI STRAPPI DEL GOVERNO CONTE-SALVINI HANNO FATTO RIPARTIRE LA SPESA PREVIDENZIALE

Poi c’è il grande interrogativo della riforma strutturale che dovrebbe entrare in vigore nel 2024. Si tratta di riprendere quel tragitto di riforma interrotto nel 2019. Il Rapporto n.23 sulle tendenze della spesa pensionistica e sanitaria a cura della Ragioneria Generale dello Stato (RGS) ha messo bene in luce la ‘’questione’’ del sistema pensionistico. Il processo di riforma degli ultimi decenni – secondo la RGS – ha contribuito e contribuisce tuttora in misura significativa a sterilizzare gli effetti attuali e quelli previsti negli anni a venire della transizione demografica sulla spesa pubblica. Tuttavia, le previsioni a legislazione vigente che inglobano gli effetti del D.L. 4/2019 (quota 100 e dintorni) e le successive misure di transizione, se messe a confronto con le previsioni basate sulla legislazione immediatamente precedente, mettono in evidenza che, per la prima volta dal 2004, esse hanno determinato un aumento della spesa e una retrocessione nel percorso di elevamento dei requisiti di accesso al pensionamento, producendo nel periodo 2019-2034, ulteriori maggiori oneri pari in media a 0,23 punti di PIL l’anno. Lo scostamento rispetto al livello di spesa pensionistica in rapporto al PIL che sconta la legislazione immediatamente previgente è particolarmente accentuato nei primi anni della proiezione e, in particolare, nel periodo 2020-2023, in corrispondenza con il maggior ricorso al pensionamento anticipato da parte dei soggetti che maturano il requisito congiunto per il collocamento a riposo con almeno 62 anni di età (64 per il 2022) e 38 anni di anzianità contributiva. La maggiore incidenza della spesa in rapporto al PIL ammonta, in media, a 0,5 punti percentuali. Negli anni successivi, il profilo dei nuovi oneri pensionistici in rapporto al PIL mostra un andamento decrescente. Lo scostamento rispetto al livello risultante sulla base della legislazione immediatamente previgente si sarebbe azzerato nel 2035. Per poi iniziare una graduale discesa negli anni successivi. In sostanza, in questo arco temporale il sistema sarebbe rientrato dagli ‘’strappi’’ prodotti dalle misure del governo giallo-verde. E’ auspicabile che, a seguito delle nuove riforme strutturali, annunciate dal governo Meloni, il sistema, in procinto di ritornare, dopo le deviazioni, sulla rotta corretta, non sia risospinto in alto mare.