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Pensioni, tanto rumore per (quasi) nulla: chi lascerà il lavoro dal 1º gennaio 2023

La manovra

Prende corpo l'ipotesi di una proroga semestrale secca di 'Opzione donna' così com'è. Le nuove regole ipotizzate riducevano drasticamente la platea fino a numeri irrisori e penalizzavano le donne senza figli, con rischio incostituzionalità. Sì a quota 103 e Ape sociale, ma saranno per pochi

Opzione donna in alto mare. Maggioranza e governo stanno ancora ragionando sulla possibilità di modificare l'opzione che permette di lasciare il lavoro in anticipo (in anticipo rispetto ai requisiti ordinari della legge Fornero).

Opzione donna: chi lascerà il lavoro nel 2023

L'attuale versione della legge di bilancio, ancora emendabile entro il 31 dicembre, prolunga di un anno per le lavoratrici il canale di uscita anticipata, con il ricalcolo contributivo dell’assegno, ma lo limita fortemente. Vi possono infatti accedere solo caregiver, invalide civili e "licenziate" o o dipendenti di aziende in crisi. Viene anche fissata la soglia anagrafica, nel mix con i 35 anni di versamenti, a 60 anni prevedendo uno sconto di un anno per quelle con un figlio (59 anni) e di due con almeno due figli (58 anni).

Un bacino assai ristretto, che riduce la platea potenziale a non più di 2.900 lavoratrici per un costo di 20,8 milioni contro i 110 milioni della proroga totale decisa lo scorso anno dall’esecutivo Draghi lasciando invariato lo schema di pensionamentoattuale che, lo ricordiamo, si basa sui 58 anni d'età (59 per le lavoratrici autonome) e sui 35 di contributi. Ci sono interlocuzioni in corso, perché con le nuove regole la Cgil stima addirittura solo 870 uscite, un'inezia. Il ministro del Lavoro Elvira Calderone, nei giorni scorsi, aveva già accennato alla possibilità di ripristinare la norma attualmente in vigore (58 anni di età ed un minino di 35 anni di contributi per tutte, senza richiedere altri requisiti) scontrandosi però subito col problema delle coperture.

Che succederà? Nelle ultime ore prende corpo l'ipotesi di una proroga secca di Opzione donna, ma non per tutto il 2023. Il rinnovo della misura sarebbe per soli sei o otto mesi, fino all'estate, in attesa di una riforma complessiva delle pensioni. La sensazione è che l'esame del Ddl di bilancio potrebbe portare ancora altre novità. Il confronto a base di emendamenti  in commissione bilancio sarà duro.

Tutti contro le modifiche a Opzione donna

Le critiche al governo sulle nuove caratteristiche di Opzione donna piovono da più parti. Il segretario generale della Uil, Pierpaolo Bombardieri, è drastico: "Si peggiora Opzione donna". Più articolata la posizione di  Ilaria Donatio, coordinatrice della scuola politica sulla parità di genere di Più Europa: "Il balletto del governo, un passo avanti e due indietro, prosegue senza sosta. L'ennesima retromarcia annunciata riguarda 'Opzione donna' che disciplina la pensione anticipata da parte delle donne. Possibile che nella stesura del testo originario nessuno tra i tecnici a disposizione dell'esecutivo abbia eccepito ciò che è evidente a tutti? E cioè che si tratta di una norma che attribuisce un valore maggiore alle donne che hanno procreato rispetto alle altre è palesemente discriminatoria e dunque incostituzionale".

"Leggo di studi e approfondimenti su come riscrivere Opzione donna. Mi sfugge perché vada riscritta. Penso sia più semplice lasciarla come era scritta lo scorso anno nella legge di bilancio", scrive su Twitter Andrea Orlando (Pd). Restando nel mondo dem, Debora Serracchiani ritiene che quella decisa dal governo sia "una stretta miope. Un passo indietro a cui ci opporremo con forza". Il Partito democratico tiene il punto e su questo tema sembra voler andare fino in fondo: "Un ritorno al passato per quanto riguarda i diritti acquisiti e le donne sono sempre le prime a pagare - dice l'eurodeputata del Pd Alessandra Moretti -. Già con Quota 100 abbiamo visto avvantaggiare i maschi sessantenni, ora, in quello stesso solco, tolgono pavimento dai diritti delle donne, già penalizzate da carriere frammentate e discontinue". E sul requisito anagrafico che penalizza le donne che non hanno avuto figli rispetto alle madri, è caustica: "Eppure abbiamo una donna presidente del Consiglio, segno evidente che non basta essere al comando se non si curano gli interessi di tutte", conclude Moretti.

Tanto rumore per nulla

Nella prima proposta di riforma, risalente a qualche settimana fa, il governo Meloni aveva previsto la possibilità per le lavoratrici di andare in pensione a 58 anni (e 35 di contributi) con due figli o più, 59 nel caso si abbia un solo figlio, 60 negli altri casi. Il fatto di legare l'età per il possibile accesso alla pensione al numero di figli ha destato parecchie perplessità anche per i probabili rilievi di costituzionalità. Il costo della misura, oltre 400 milioni di euro, è stato ritenuto eccessivo dal ministero del Tesoro. A quel punto, quando è stata messa nero su bianco la legge di bilancio, si è valutata l'ipotesi di limitare l'accesso la possibilità di usufruirne solo per donne che assistono parenti malati, invalide al 74%, licenziate o lavoratrici di aziende in crisi. Ora invece si profila una soluzione più radicale: niente numero di figli o limite delle categorie, si torna alla versione originaria. Tanto rumore per nulla.

Quota 103, quota 102 e Ape sociale 

La nuova quota 103, che consentirà l'uscita dal lavoro con 41 anni di contributi e almeno 62 anni di età, servirà secondo i calcoli riportati dall'Osservatorio Previdenza di Cgil e Fondazione Di Vittorio "solo" a 11.340 persone, invece delle 41.100 annunciate dal governo. Per la proroga dell'Ape sociale le stime sono di 13.405 uscite (rispetto alla previsione di 20mila). 

Diamo uno sguardo alle nuove regole. Dal prossimo gennaio cambiano i requisiti per l'uscita anticipata: 62 anni di età e 41 di contributi al posto del mix 64+38 di quota 102. Dal 1° gennaio 2023, per dodici mesi, debutta una quota 103 di fatto. Due le finestre previste: tre mesi per i lavoratori privati e sei per gli statali. Chi raggiunge i requisiti il 31 dicembre 2022, deve aspettare aprile se è un dipendente privato, o agosto se si tratta di un dipendente pubblico. La pensione non potrà superare le cinque volte il minimo Inps (circa 2.626 euro) e non sarà cumulabile con altro reddito da lavoro sopra i 5mila euro. Quota 102 (la possibilità di uscire con 64 anni d’età e 38 di contributi introdotta da Draghi), scade il 31 dicembre 2022. Ma se si maturano i requisiti nei prossimi 29 giorni, si potrà comunque uscire anche dopo, nel 2023.

Sulla conferma di Ape sociale dubbi non ce ne sono mai stati: c'era anche l'ok dei sindacati. Il cosiddetto anticipo pensionistico, ormai a tutti noto come Ape, è un progetto che consente il prepensionamento, senza alcun onere economico, a specifiche categorie di lavoratori che abbiano raggiunto una certa età anagrafica (più altri requisiti).  L'Ape sociale, dove Ape sta per anticipo pensionistico, è un’indennità erogata da parte dello Stato destinata a soggetti - al momento basata su 63 o più anni di età in particolari condizioni di difficoltà, per esempio perché hanno svolto per anni lavori gravosi o perché assistono un coniuge con una disabilità o ancora perché si sono ritrovati disoccupati senza la possibilità di diventare a tutti gli effetti pensionati per motivi di età  - che hanno necessità di un aiuto economico prima di poter accedere alla pensione di anzianità. L'Ape sociale, introdotta nel 2017, con l'ultima manovra è stata prorogata anche al 2022. Succederà lo stesso pure nel 2023. L'indennità di 1.500 euro mensili è destinata solo a chi possiede 63 anni e 36 di contributi (o 32 per alcune attività come edili e ceramisti). Vi accedono anche caregiver, invalidi civili al 75% e disoccupati di lungo corso. 

Confermata infine la pensione con 41 anni di contributi versati per i lavoratori "precoci", ovvero quelli che possono far valere 12 mesi di contribuzione effettiva antecedente al 19esimo anno di età anagrafica.

Tra i canali di uscita "ordinaria" resta sempre accessibile quello della Legge Fornero, che consente il pensionamento con 42 anni e 10 mesi di anzianità contributiva (41 anni e 10 mesi per le donne) a prescindere dall'età anagrafica e senza adeguamenti all'aspettativa di vita fino al 2026.