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Perché dovremmo abbassare la pressione sulle aspettative, come suggeriscono Colapesce e Dimartino

Cantano così Colapesce e Dimartino in Splash, la canzone, in gara al Festival di Sanremo 2023, che affronta due temi complementari: da un lato l'affanno provocato dal fare troppe cose per non sentire i vuoti della vita, cioè l'incapacità di fermarsi quasi per evitare la vita stessa, dall'altro il peso sulle aspettative che porta a essere proiettati sempre in avanti senza lasciare spazio al presente, alla cura di ciò che si ha tra le mani. Quelle aspettative che creano frustrazione e alle quali, dopo la pandemia, molte persone hanno risposto lasciando il posto di lavoro (1,6 milioni di italiani negli ultimi nove mesi hanno lasciato volontariamente il lavoro): un modo per ritornare a essere padroni del proprio tempo. 

Così, due anni dopo la loro hit Musica leggerissima che con leggerezza, appunto, parlava già di «silenzi assordanti per non cadere dentro ai buchi neri», Colapesce e Dimartino (nome mutuato dal protagonista di una leggenda siciliana; Lorenzo Urciullo, 39) e Dimartino (Antonio Di Martino, 40) tornano con un brano (sarà anche nei titoli di coda del film d’esordio La primavera della mia vita girato da Zavvo Nicolosi) che fa riflettere perché incarna uno dei malesseri della nostra epoca: la continua ricerca di qualcosa che non c'è per sfuggire a se stessi. 

Come si fa a riconoscersi in un mondo in cui la percezione di noi stessi è continuamente filtrata dal pensiero, dal giudizio altrui e da parametri universali che quasi sempre sono impossibili da raggiungere? «Rispondere alle aspettative degli altri significa dimenticarsi di se stessi, di quali sono i propri talenti, di quell'unicità che ogni persona porta con sé», dice Federica Cairoli, psicologa clinica dell'équipe di Jonas Monza Brianza. «Il fatto di enfatizzare la prestazione è un concetto universale che perde di vista il particolare, cioè considerare ogni persona un unicum. Nei confronti di un io ideale siamo perdenti perché ci sarà sempre qualcuno migliore di noi. Non c’è un ideale dell’io da raggiungere, ma piuttosto è necessario riscoprire qual è il nostro io più autentico». 

Per spezzare il circolo vizioso è necessario cambiare il modo di pensare come hanno scritto i filosofi di Tlon Maura Gancitano e Andrea Colamedici in un post su Instagram dedicato alla paura di non fare mai abbastanza: «In una società così pervasiva, che colonizza qualunque spazio per spingerci a creare “contenuto”, ma che costringe a convivere costantemente con il senso di vuoto, è essenziale creare altre strade, non pensare che questo sia l’unico mondo possibile, basato su un sistema irreversibile». 

Il peso delle aspettative porta a riempirsi la vita di impegni, spesso senza direzione di senso, pur di non fare i conti con il vuoto, per non rimanere soli nel nulla. «Tutta l’infelicità dell’uomo sta nel non saper restare quieti in una stanza», scriveva il filosofo francese Blaise Pascal