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Perché il crollo della sterlina deve essere un monito per Giorgia Meloni e la manovra economica del suo governo

La ricetta appena varata dal nuovo ministro dell'economia britannico, Kwasi Kwarteng, per reagire alla crisi ha fatto crollare la divisa britannica. Il consiglio per l'esecutivo italiano che verrà è di non fare lo stesso errore

Giorgia Meloni (Ansa)

Giorgia Meloni (Ansa)

Ipotesi numero 1. La Melonomics come la Trussonomics. E' stata, infatti, già battezzata così – Trussonomics – con aperto sarcasmo da parte degli economisti, la ricetta appena varata dal nuovo ministro dell'economia britannico, Kwasi Kwarteng, per reagire alla crisi e basata, fra lo stupore e la costernazione degli stessi economisti, su una valanga di sussidi e di tagli alle tasse (soprattutto per i più ricchi), finanziata con un ricorso record al debito pubblico, nella speranza che il rimbalzo sulla crescita chiuda alla fine il buco di bilancio.

Ricorda niente?

La manovra messa in campo da Liz Truss e Kwasi Kwarteng sembra, in effetti, scritta da Matteo Salvini a quattro mani con Silvio Berlusconi: la versione italiana è quella della flat tax, delle pensioni a mille euro, dell'aperto ricorso allo “scostamento di bilancio” (più volte invocato dal leader della Lega), ovvero dal finanziamento della spesa in deficit per decine di miliardi (solo la promessa di pensioni a mille euro ne costa una trentina).

Il crollo della sterlina

L'esperienza britannica non lascia dubbi. La manovra Truss-Kwarteng è stata accolta da un crollo della fiducia degli investitori, una tempesta sui titoli pubblici, un crollo della sterlina a minimi record che, forse, neanche bruschi rialzi dei tassi di interesse riusciranno a risollevare ma che, intanto, incendierà l'inflazione, già a livelli record.

Un monito per l'Italia di Giorgia Meloni

Potrebbe accadere lo stesso in Italia se la Melonomics ricalcasse la ricetta inglese? Naturalmente, no: andrebbe peggio. Perché la valuta italiana è quella europea e la rivolta dei mercati contro la manovra non si  incanalerebbe sulla dolorosa strada della svalutazione monetaria, ma su quella anche più pericolosa dello scontro aperto con le autorità dell'euro a Bruxelles e a Francoforte e dell'impennata del costo del debito pubblico, fuori da ogni controllo, che porterebbe il paese in ginocchio.

E allora?

Ecco l'ipotesi numero 2: una Melonomics senza scossoni, con una manovra da varare entro fine anno, ma con il freno tirato. Le dimensioni della vittoria elettorale, in particolare rispetto ai suoi alleati, sembrano tali da consentirle di gestire con serenità le pressioni e, per altro verso, le prospettano una lunga esperienza di governo. Ci sono, cioè, le condizioni per valutare con calma le sfide che la aspettano.

La prova più difficile

Un governo dopo l'altro, ogni autunno l'Italia affronta la prova della manovra economica in condizioni, quasi sempre, di emergenza. Quest'anno, alle difficoltà abituali, si aggiungono crisi epocali: gli strascichi della pandemia, il gelo della guerra in Ucraina, la crisi dell'energia, il boom dell'inflazione. I margini di manovra sono strettissimi. Il governo Draghi le consegna un paese in condizioni non disperate. Quest'anno, il Pil crescerà più del 3 per cento e il disavanzo pubblico è in discesa, tendenzialmente l'anno prossimo dovrebbe scendere sotto il 5 per cento e la montagna del debito pubblico ridursi sotto il 150 per cento. L'inflazione morde, ma, siccome aumenta più in fretta di quanto rallenti il Pil, l'effetto aritmetico è, per il momento, un aumento delle entrate pubbliche: è da questo effimero scollamento temporale che il governo Draghi ha attinto, senza toccare il bilancio, i 66 miliardi di euro distribuiti nei vari decreti Aiuti.

Il tesoretto evanescente

Questo tesoretto è destinato a scomparire nei prossimi mesi, con l'inflazione che smette di accelerare e il Pil che rallenta più vistosamente. Secondo le previsioni più diffuse, nel 2023 l'Italia, al contrario di altri paesi europei, non cadrà in recessione, ma la crescita sarà inferiore all'1 per cento. Intanto, crescono gli impegni. Il nuovo governo ha bisogno di 40 miliardi di euro, da qui a fine anno, solo per impedire che decadano le varie misure messe in campo da Draghi e prolungare gli interventi per le bollette. Continuare a sussidiare i consumatori nel 2023 costerà 5 miliardi di euro al mese.

L'incubo inflazione

Allo stesso tempo, l'inflazione presenta il conto: solo per adeguare le pensioni all'aumento dell'8 per cento del costo della vita, a gennaio occorreranno fra gli 8 e i 10 miliardi di euro. E, con il costo dei Btp decennali ormai al 4,5 per cento, gli interessi sui titoli peseranno per altrettanto sul bilancio. Mentre le entrate si afflosciano: nel 2023 si preventivava una crescita del Pil del 2,4 per cento. Le previsioni aggiornate sono di due punti più bassi. A occhio, sono 20 miliardi di euro di entrate in meno.
In conclusione: anche a bocce ferme, quella del 2023 dovrà essere una maximanovra. L'alternativa sono le incognite della Trussonomics.