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Perché le proteste in Cina smentiscono i no vax

Vi siete mai chiesti cosa sarebbe accaduto in Italia e in Europa se non avessimo avuto a disposizione vaccini efficaci contro il covid? Le proteste di questi giorni in Cina ci danno la risposta. Saremmo costretti a continui lockdown, per evitare che la libera circolazione del virus travolga gli ospedali e i servizi funebri. Come è successo nel 2020 nella metropoli di Wuhan e poi in Lombardia e in altre parti del mondo, non appena l'infezione si è diffusa. La scarsa protezione garantita dai vaccini cinesi, oggi di gran lunga più deboli rispetto a quelli occidentali, ha infatti gravi ripercussioni sulla vita quotidiana e sull'ordine pubblico, che sotto le ferree leggi del partito unico non è consentito mettere in discussione.

Il regime comunista, guidato da Xi Jinping, sembra non avere scelta, anche di fronte a pochi casi di contagio: Pechino continua a imporre la politica "zero covid", con l'isolamento forzato di milioni di persone nelle loro case e addirittura nelle fabbriche dove lavorano. L'alternativa con la libera circolazione del virus, secondo le autorità sanitarie, esporrebbe la società – non protetta a sufficienza – al rischio di una nuova ecatombe. Ma tre anni di ripetute restrizioni stanno scatenando rabbia e frustrazione, con un'ondata senza precedenti di manifestazioni contro il regime, esplose nelle principali città.

Xi Jinping (foto Ansa)

Basterebbe questo per dimostrare quanto l'ampia adesione alla campagna vaccinale in Italia e in Europa, nonostante gli appelli no vax, abbia garantito la libertà delle persone e non l'abbia invece ridotta. Secondo i dati pubblicati dalla Fondazione Gimbe, gli italiani che hanno ricevuto la terza dose sono l'84,6 per cento, la quarta iniezione il 25,9 per cento. Le persone vaccinabili che invece non hanno aderito alla campagna sono il 10,6 per cento, poco più di sei milioni.

Secondo un articolo pubblicato il 29 novembre da Global Times, il giornale controllato dal Partito comunista, su un miliardo e quattrocento milioni di cinesi, il 90,28 per cento avrebbe completato il ciclo di vaccinazioni e ottocento milioni si sarebbero sottoposti anche ai richiami. La percentuale però diminuisce con l'aumento dell'età, sempre secondo quanto riportato dal giornale comunista: tra gli ultra ottantenni, soltanto il 65,8 per cento avrebbe aderito alla campagna completa.

Un milione di morti

Se i dati cinesi fossero reali o i vaccini cinesi avessero la stessa efficacia di quelli occidentali, Xi Jinping non dovrebbe temere la circolazione del virus SarsCoV2. Ma i limiti della prevenzione dei focolai in Cina sono stati evidenziati in uno studio pubblicato nel maggio 2022 sulla rivista scientifica Nature da un gruppo di scienziati di Shanghai. I ricercatori stimano infatti che la campagna vaccinale sarebbe stata comunque insufficiente a prevenire le ondate della variante Omicron, di fronte all'eventuale libera circolazione del virus. E il risultato sarebbe stato drammatico: "Un picco di richieste di cure in terapia intensiva di 15,6 volte superiore alle capacità esistenti e la conseguenza di circa 1,55 milioni di morti”, sostengono gli autori dello studio.

Che Xi Jinping chieda aiuto all'Occidente al momento non sembra in agenda. E questo è l'ennesimo errore del regime. Il primo risale al 30 dicembre 2019, quando Ai Fen, direttrice del pronto soccorso dell'ospedale Centrale di Wuhan, e Li Wenliang, oculista nello stesso ospedale, vengono sanzionati per aver avvertito i colleghi sulla diffusione in città di casi incurabili di polmonite atipica. Il secondo errore, il 5 gennaio 2020, quando Zhang Yongzhen, professore di riferimento al Public Health Clinical Center di Shanghai, con il supporto dall'Australia di Edward Holmes, uno dei massimi virologi al mondo, identificano il genoma del nuovo virus e la sua trasmissione aerea da persona a persona, ma vengono ignorati dal ministero della Sanità. Il terzo quando il 12 gennaio 2020, come ritorsione alla pubblicazione del genoma del nuovo virus, le autorità cinesi chiudono per mesi il centro di ricerca del professor Zhang: forse perché, nel loro resoconto scientifico, avevano citato come parente stretto del nuovo virus di Wuhan due coronavirus dei pipistrelli maldestramente isolati da ricerche dell'esercito popolare cinese.

Il parallelo sovietico

Senza un'inchiesta indipendente sul campo, impedita proprio da Pechino, sarà impossibile andare al di là delle ipotesi sull'origine del virus. Ma ciò che fin dal 2020 è possibile dimostrare è la responsabilità del regime comunista nel suo insieme, e del suo apparato scientifico, nelle censure e nei depistaggi che hanno consentito il salto dell'infezione a epidemia a Wuhan e dell'epidemia a pandemia nel mondo.

Alla morte del dottor Li Wenliang il 7 febbraio 2020, la stessa generazione oggi protagonista della protesta cinese aveva sfidato la censura nelle chat con le parole di Valerij Legasov, lo scienziato sovietico che aveva denunciato al mondo le cause del disastro nucleare di Chernobyl: “Il vero pericolo è che se ascoltiamo troppe bugie, poi non riconosciamo più la verità”. Legasov però fornì anche una via d'uscita dall'oscurità delle dittature: “La verità – ha detto poco prima di suicidarsi – è sempre lì... Per ogni menzogna che diciamo, contraiamo un debito con la verità. Presto o tardi quel debito va pagato”. Ed è proprio ciò che milioni di cinesi oggi chiedono a Xi Jinping: pagare il debito che il Partito comunista ha contratto con la verità.

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