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Promemoria per Meloni: “Crescita economica e meritocrazia”, il nuovo libro di Giampaolo Galli

Esce al momento opportuno il nuovo libro di Lorenzo Codogno e Giampaolo Galli “Crescita economica e Meritocrazia – Perché l’Italia spreca i suoi talenti e non cresce“, Editore Il Mulino. Infatti il libro individua le cause di fondo della lunga stagnazione italiana, mette in evidenza il fattore comune che frena l’innovazione e cioè un malinteso egualitarismo e una costante svalutazione del merito quale elemento di selezione della classe dirigente e fattore di successo. Il nuovo governo di centrodestra, che con ogni probabilità si formerà tra qualche settimana, seguendo le pagine di questo volume può mettere a fuoco le debolezze dell’economia italiana e affrontarle contemporaneamente alle misure congiunturali che pure serviranno per attutire il colpo dei giganteschi incrementi dei prezzi dell’energia che rischiano di mettere del tutto fuori gioco una parte dell’industria italiana. Ne abbiamo parlato con uno degli autori del volume, Giampaolo Galli, economista e già allievo di Carlo Azeglio Ciampi in Banca d’Italia e già direttore generale di Confindustria e di Ania, che attualmente collabora all’Osservatorio dei conti pubblici dell’Università del Sacro Cuore di Milano. 

Partiamo dall’attualità. La Germania ha appena annunciato uno stanziamento di ben 200 miliardi per eliminare o ridurre l’impatto dell’aumento dei prezzi dell’energia sulle imprese e sulle famiglie. Subito dall’Italia si sono levate voci che accusano la Germania di egoismo e invocano una politica comune europea per frenare i prezzi dell’energia. 

“Capisco la frustrazione, però non si può non notare la contraddizione di chi, come Fratelli d’Italia, invoca l’intervento di Bruxelles mentre durante tutta la campagna elettorale ha chiesto meno poteri per l’Europa, ha propagandato la sua idea di una Europa confederale, cioè un insieme di nazioni sovrane dove ogni paese fa quello che ritiene più opportuno. Far intervenire maggiormente l’Europa su terreni che esulano le proprie attuali competenze, vuol dire aumentare i poteri di Bruxelles e quindi evolvere verso un sistema federale.

Il nuovo libro di Giampaolo Galli e Lorenzo Codogno

“Per quel che riguarda il merito della decisione tedesca, bisogna tener presente che la loro situazione debitoria è infinitamente migliore della nostra, e anche negli ultimi tre anni di pandemia e di crisi energetica hanno speso meno di noi. Ora quindi hanno ampi spazi di bilancio da utilizzare. Noi invece, che abbiamo un debito molto alto (anche se Draghi è riuscito a tenerlo sotto controllo), dovremo cercare di conciliare il necessario sostegno alle imprese ed ai ceti più poveri con la necessità di non aumentare il debito altrimenti potremmo rischiare un allargamento degli spread e quindi difficoltà nel finanziare il nostro debito sul mercato, specie ora che la BCE ha sospeso l’acquisto di titoli pubblici e sta decisamente aumentando i tassi d’interesse”. 

 Per arrivare a un debito come quello della Germania bisogna crescere

 Ancora una volta si conferma che chi è molto indebitato ha pochi margini di manovra per intervenire nelle emergenze. La cura della nostra economia, come si spiega nel libro, riguarda gli assetti strutturali, ed in particolare la mancata valorizzazione del merito,  per superare la stagnazione alla quale siamo inchiodati da circa tre decenni. Insomma il nostro male è la mancata crescita

 “C’è un grafico nel secondo capitolo del libro molto eloquente. In esso si vede che se noi fossimo cresciuti dal 1995 in poi come la Francia, il nostro debito, a parità di spese, sarebbe sceso già a partire dal 2011 al livello del 60% del PIL, più o meno quello della Germania. Il nostro problema, è quindi che dopo i primi due decenni del dopoguerra quando siamo cresciuti sulla base di un processo di imitazione di quanto avevano fatto i paesi più sviluppati e giovandosi di bassi salari, non siamo riusciti a fare il salto verso una crescita basata sull’innovazione interna tecnologica e culturale.

“Non abbiamo accettato la competizione, ma anche le opportunità, che derivavano dalla grande apertura del mercato internazionale, dall’introduzione dell’Euro che precludeva la comoda strada della svalutazione della nostra moneta.  Ci siamo rifugiati nella difesa delle nostre particolari corporazioni, non siamo stati capaci di valorizzare la competenza e il merito. La paura del cambiamento ha bloccato la crescita del paese e quindi anche i redditi procapite sono rimasti stazionari, mentre abbiamo escluso dal processo produttivo i giovani e molte donne tanto che il nostro tasso di occupazione è molto inferiore a quello di altri paesi occidentali”. 

Il merito non sembra far parte del nostro DNA . E però proprio da qualche anno a questa parte anche nel mondo anglosassone si sono levate molte voci che mettono in guardia contro la meritocrazia, l’arroganza di chi è arrivato al vertice. Anche in Francia, ad esempio lo stesso Macron ha annunciato una riforma dell’ENA , la scuola superiore dalla quale per decenni è uscita tutta la classe dirigente francese, perchè gli enarchi hanno assunto l’aspetto di una casta, forse poco innovativa, e comunque non più sopportata dalla gran massa della popolazione.

“In effetti alcune critiche, come ad esempio quella di Sandel sembrano prendere di mira più che l’applicazione di rigorosi principi meritocratici, il  fatto che in molti casi questi non vengono rispettati come quando si critica le università americane perchè accettano anche studenti sulla base di meriti sportivi o per le donazioni fatte dai genitori alla stessa università.

“Certo anche la selezione per merito non è perfetta, ma è meglio di tutte le alternative, quelle basate sulle relazioni o sulla raccomandazione. Si tratta di sistemi di selezione che ci ricordano il feudalesimo o il nepotismo. Sta di fatto che se l’Italia non è riuscita a fare il salto verso la modernità di una economia competitiva questo è dovuto al generale rifiuto della valutazione meritocratica. Nella scuola gli insegnanti non hanno voluto il test Invalsi, nelle Università i contributi per la ricerca pensati per premiare quelle migliori sono invece finiti a quelle più deboli con la giustificazione che in questo modo si aiutavano a raggiungere le altre. Sta di fatto che in tutte le classifiche internazionali nessuna nostra Università raggiunge il livello di eccellenza. E senza centri di ricerca al top non si possono avere imprese innovative, capaci di competere e vincere sui mercati internazionali”.  

Il programma della Destra fa promesse demagogiche ma non premia l’innovazione

Siamo caduti in pieno nella così detta “trappola dei paesi a reddito medio” i quali non riescono a fare il salto verso l’ innovazione per la paura di smantellare quello che si è conquistato fino a quel momento e non avendo fiducia nella classe dirigente che dovrebbe guidarlo verso il nuovo. 

“Alcuni paesi sono riusciti a fare questo salto. La Korea del Sud negli anni novanta ha cambiato il suo modello industriale basato su grandi conglomerati, puntando invece su imprese innovative sia tecnologicamente che come governance. Lo stesso ha fatto la Germania che a fine anni ’90 era il malato d’Europa. Il governo socialdemocratico ha varato una serie di riforme per rendere più dinamico il mercato e valorizzare il merito, imponendo una serie di sacrifici (come ad esempio l’abolizione della tredicesima per i dipendenti pubblici) in vista di un futuro migliore. E la gente ha accettato.

Da noi invece la politica ha inseguito le paure, senza peraltro vincerle. Ancora oggi il programma della Destra si colloca su questa stessa linea: si punta a dare una mano alla piccolissima impresa ed al terziario improduttivo; si promettono sgravi fiscali  (flat Tax) ai lavoratori autonomi che sono da noi un numero anormalmente elevato rispetto agli altri paesi, si lascia nella sua ingessatura il mercato del lavoro favorendo così la deverticalizzazione delle imprese e il lavoro sommerso. Insomma si fa il contrario di quello di cui ci sarebbe bisogno e cioè aiutare le imprese a crescere, premiare quelle innovative che per loro merito si conquistano spazi sui mercati internazionali, e ridurre gli spazi per le imprese che si basano sulla relazioni (politiche) e che magari riescono a prosperare ma, come ha dimostrato uno studio della Banca d’Italia, sono poco innovative e non lasciano spazi sul nostro mercato alle imprese nuove e moderne”. 

Torniamo sempre al problema delle riforme. Ne abbiamo tentate tante negli ultimi decenni, ma non sono riuscite. Strada facendo sono state svuotate dai passaggi più innovativi in modo che la pubblica opinione ha potuto vedere solo i disagi che stavano provocando senza poter arrivare a godere dei vantaggi di un sistema più efficiente

“La strada è tracciata dal Pnrr. Lì ci sono le riforme. Alcune avviate da completare e implementare e ci sono anche i mezzi per fare gli investimenti che possono nell’immediato sostenere la congiuntura e nel medio termine aumentare la produttività complessiva e quindi il tasso di crescita del nostro paese. Dobbiamo riprendere i temi del miglioramento della scuola e dell’Università puntando sul merito e cioè dotando ad esempio i presidi, di veri poteri gestionali, per premiare i propri docenti, oppure valutando i magistrati non solo in base all’anzianità ma del merito del loro lavoro. Ci sono dei sistemi per farlo, ma il Csm si è rifiutato di applicarli. E forse non è un caso se la nostra Giustizia oltre ad essere lenta, è inaffidabile”. 

Abbandonare l’egualitarismo dell’uno vale uno per valorizzare merito e competenza

Questo nostro sistema basato sugli automatismi egualitari imposti dalle varie corporazioni ha creato alla fine una grande sfiducia da parte dei cittadini nei confronti di tutta la classe dirigente. Non si è costruito quel capitale sociale che rappresenta il collante di una comunità  e che è indispensabile se si vogliono raggiungere obiettivi ambiziosi. La nostra politica non sembra all’altezza dei problemi di fondo del nostro paese. Da dove partiamo per risalire la china? 

  “Ci sono certo  barriere culturali che vengono dalla nostra storia passata e dagli assetti politici del dopoguerra. Abbiamo avuto partiti come la DC e il PCI che condividevano grosso modo una ideologia egualitaria. Poi abbiamo avuto il ’68 che da noi è durato più che in altri paesi e che ha rafforzato il rifiuto verso il mercato ed il merito. Ci ricordiamo della richiesta del 18 per tutti gli studenti! Poi una volta  caduta la prima Repubblica, abbiamo continuano a produrre partiti politici che anche se si proclamavano liberali, hanno fatto ben poco per modernizzare il sistema sfidando le corporazioni. Poi siamo finiti ai 5 Stelle ed allo slogan “uno vale uno” che è un discendente farsesco dell’egualitarismo, del rifiuto del merito e della competenza. Ma se riusciremo a seguire il programma delineato dal Pnrr potremo avviare una svolta. La sfiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni, potrebbe attenuarsi mano a mano che cominceranno a vedersi i risultati concreti delle riforme e degli investimenti previsti.