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Quelle oligarchie al potere che complicano il cammino verso la pace

Il terzo millennio ha riportato alla luce ben conservati alcuni reperti di forme di governo che sarebbero dovute rimanere sepolte per sempre. Per la precisione sono quelle pratiche autoritarie, che il mondo intero pensava fossero finite per sempre e quelle rimaste ancora in vigore in procinto di raggiungerle nel dimenticatoio. Così, oramai è più di un anno, lo zar da festa della birra Putin, riveduto e “scorretto” nell’accezione più ampia del termine, ha rivolto le sue brame imperialiste senza alcuna motivazione plausibile alla Ucraina, che confina per un lato con la Russia e per un alto con l’ Europa. La strategia adottata per restare ben abbarbicato sul suo trono è quella, molto temuta, della diffusione del terrore con ogni mezzo possibile. Nella storia sono molti i casi analoghi, ma sembrava impensabile che si potesse arrivare ancora oggi alla eliminazione sistematica degli oppositori, anche potenziali, con veleni o con la loro restrizione in carcere duro, buttando la chiave nel corso d’acqua più vicino. Si sarebbe portati a credere che il tutto sia un incubo e che, in quanto tale, si dissolverà presto. Quei modi di gestire il potere sarebbero dovuti rimanere contenuti nella frazione temporale dei secoli bui del Medioevo o usati come argomenti di fantasia nei romanzi di cappa e spada. La constatazione che lascia ancor più delusi è che tutti gli sforzi politici fatti nel secolo precedente perché non si verificassero più situazioni del geneŕe, sono stati pressoché inutili. Basti pensare all’evoluzione, rectius: all’involuzione, di alcuni sistemi socioeconomici dove si sono affermate forme di governo che non sono altro che oligarchie o addirittura tirannidi. Questo termine non deve indurre in errore facendo andare la mente a Dionigi, tiranno di Siracusa del V secolo a.C. Tra l’altro il significato autentico di quell’appellativo in greco, lingua a cui appartiene, è signore. Va inteso più propriamente come il comportamento vessatorio del tipo posto in essere da Putin, XI, Kim, giusto per fare qualche nome. La lista è molto più lunga, comprendendo, solo per esemplificare ma senza la pretesa di voler esaurire quell’elenco, l’Iran, l’Afghanistan, l’Iraq e molti altri paesi di quelli nati dalla disgregazione dell’Urss. Essi vanno aggiunti perché sono governati in modo ancora più cruento, anche se operano in realtà geopolitiche più contenute. Andando con ordine e soffermandosi sui casi macroscopici, si possono notare diverse analogie tra esse stesse e delle loro trasformazioni nel tempo. La prima è che quasi nella totalità dei casi, le cosiddette formule alternative di governo del popolo, hanno fondato i loro presupposti su veri e propri bagni di sangue. Uno per tutti l’eccidio dello Zar Nicola II° e di tutta la sua famiglia, bambini compresi. In Cina lo spargimento di sangue fu evitato, comunque gli ultimi imperatori celesti e la loro corte furono allontanati con la forza dalle stanze da dove esercitavano il potere. Con la successiva presa de comando di Mao Tse Tung, iniziò un periodo di governo cruento, sia in politica interna che in quella estera. Giusto perché ha diverse attinenze con l’attuale caso Ucraina, è opportuno ricordare che sorte analoga toccò al Tibet, volendo affinare il tiro probabilmente con un epilogo peggiore. Modifiche cruente della forma di governo esistente compiute con diverse forme di colpo di stato, alcune più e altre meno violente di quelle prese in considerazione innanzi, a est del mondo e anche nel Continente nero più volte si sono realizzate nel secolo scorso. Un marcato tratto le accomuna: tutte si autodefiniscono “governo popolare”, mentre in realtà non hanno alcuna caratteristica che possa farle considerare tali. Nella totalità dei casi sono organizzate come vere e proprie dittature, dove uno o più capipopolo, non necessariamente di estrazione popolare, decide che la cosa pubblica debba essere gestita solo con strumenti politici sui generis, in barba a quelli che sono I rapporti con la popolazione e con gli altri paesi. Non sono questi appena esposti concetti e strategie dell’ultima ora: basta volgere il pensiero alla Cuba del dopo Batista, alla fine degli anni ’50. Oltre Fidel Castro, lider maximo, che nel tempo portò quel paese alla miseria, al governo andò come ministro dell’economia un medico argentino, il Comandante Ernesto “Che” Guevara. Il suo merito fu quello di concludere affari con le grandi compagnie americane avendo la pistola a portata di mano. L’intento, a detta dei suoi biografi, era quello di rendere a quelle compagnie pan per focaccia alle multinazionali per i sistemi di corruzione che avevano adoperato con Batista per comprare a prezzo vile i prodotti di cui quell’isola abbonda. La serie di distorsioni dei concetti di democrazia e di libertà operata dalle forme di governo popolare prima accennate non finisce qua. Ne consegue che parlare di governo del popolo riferendosi alle realtà fin qui citate insieme a altre dello stesso genere sembra essere quanto meno fuori luogo se non una battuta di pessimo gusto. La conclusione, piuttosto deludente, è che la strada per arrivare se non alla pace del mondo, almeno a una lunga tregua che serva anche da pausa di riflessione, è ancora lunga. Come se non bastasse, essa è anche impervia e in salita.