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Roxanne Lowit, la donna che fermava l’attimo

Questo articolo è pubblicato sul numero 40 di Vanity Fair in edicola fino al 4 ottobre 2022

«La mia macchina fotografica è il prolungamento del mio braccio, non ci separiamo mai», diceva Roxanne Lowit.

La conobbi negli anni ’90, io lavoravo a L’Uomo Vogue, lei era già famosa, acclamata, ricercata, unica. Minuta, piccolina, incarnato diafano, sempre vestita di nero, caschetto corvino e gli inseparabili occhiali da sole, di notte come di giorno. Ed era la notte l’habitat preferito di Roxanne. Non c’era grande party, sfilata importante, evento super esclusivo dove, a New York come a Parigi, a Milano, Cannes, Los Angeles, non fosse presente. Una celebrity anche lei come quelle che usava ritrarre in uno scatto preso al volo destinato a essere per sempre.

Riusciva a cogliere l’attimo, immortalando in modo ironico, super glamorous top model, attori, drag queen, stilisti, cantanti... la Dolce Vita dagli anni ’70 a ieri è passata dal suo obiettivo. «Volevo fare la pittrice, ma avevo bisogno di gratificazione istantanea. Sono figlia della cultura del fast food e delle fast car», diceva per spiegare il suo coup de foudre per la fotografia. Non quella posata dei set di moda, ma gli scatti nei backstage, nei club, alle feste. Di Roxanne mi sono subito innamorata, impossibile non farlo.

Nei corridoi e nelle stanze dell’Hotel Martinez a Cannes abbiamo scattato super top model, attrici famosissime e volti emergenti. A Roxanne bastava una bottiglia di champagne, una vasca da bagno, un mazzo di rose, una torta o un hamburger per creare una fotografia iconica. E più spesso non aveva bisogno di nulla, solo di osservare e cogliere l’attimo. Perché, come i grandi paparazzi, una stirpe leggendaria da Tazio Secchiaroli a Ron Galella, Roxanne ritraeva la vita, non costruiva il fake.

Senza scomodare Wittgenstein, per lei etica ed estetica erano tutt’uno. Roxanne amava la moda e il glamour. Si definiva una voyeur, adorava gli eccessi, anche se conduceva una vita quasi monastica (niente fumo, niente sole, niente alcol). Lei ha vissuto la Factory di Andy Warhol, l’età d’oro di Diana Vreeland, l’amore tra Johnny Depp e Kate Moss e quello tra Farrah Fawcett e Ryan O’Neal. Ho avuto l’onore e il privilegio di lavorare con lei prima per L’Uomo Vogue, poi per Vogue Gioiello e Vanity Fair. Di tanti splendidi servizi per Vanity ricordo il backstage della sfilata Dolce&Gabbana Primavera-Estate 2003 che utilizzammo per il numero zero di Vanity Fair, quello che i lettori non hanno mai visto. E che vi presentiamo in queste pagine. Una magnifica Gisele Bündchen abbracciata a Natalia Vodianova, Karolina Kurkova, Naomi Campbell, Amber Valletta, Eva Herzigová... tutte sorridenti e piene di energia. E poi, quasi un anno dopo, il servizio moda del primissimo numero di Vanity Fair datato 9 ottobre 2003 per cui, senza dubbio alcuno, scelsi Roxanne per scattare sui red carpet della Mostra del Cinema di Venezia 14 pagine con protagonista Mariacarla Boscono, ritratta con Isabella Rossellini, Claudia Gerini, George Clooney, Jason Biggs, Valeria Golino, Gina Lollobrigida. La storia perfetta per l’esordio del magazine in grande stile. Da allora sempre insieme al Festival di Cannes come alle sfilate. Vent’anni in cui mi ha portato sulla giostra del suo immaginario, fatto di sorrisi, ironia, joie de vivre.