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Sold out per l'airone di Spalato, Toni Kukoc: "I momenti migliori? I tre anelli coi Bulls e l'esperienza a Treviso"

TRENTO. Ospite d’onore al Festival dello sport è Toni Kukoc, l’airone di Spalato. Il leggendario numero 7, che dal 2021 fa parte della Naismith Basketball Hall of Fame, ha lasciato il segno sia in Europa che in America, vincendo tre anelli Nba con i Bulls di Jordan, tre Coppe dei Campioni con la Jugoplastika, due argenti olimpici con Jugoslavia e Croazia, un oro mondiale e due europei sempre con la Jugoslavia. Un palmarès di tutto rispetto che gli ha permesso di incidere il proprio nome tra quelli dei giganti della pallacanestro mondiale.

Umile nonostante il suo successo stellare, nella sua prima dichiarazione ci tiene a ringraziare il pubblico per tutto il supporto datogli nel corso della sua carriera. Per raccontarla si parte dalla fine, dall’inclusione nella Hall of Fame: “Entrare nella Hall of Fame significa arrivare al top ed essere riconosciuto per questo. Va oltre il vincere o il perdere, vuol dire che hai lasciato un segno indelebile nel gioco. Mi hanno accompagnato MJ, che me lo aveva promesso tanti anni fa, e Jerry Reinsdorf, proprietario dei Bulls, che è stato tra i primi a darmi fiducia e a credere che avrei potuto fare bene anche in Nba”.

Sì perché Toni è stato tra i primi europei a sfondare nella lega americana. Si può dire che sia stato lui a rompere gli equilibri tra basket europeo e americano. Con il suo fisico e il suo modo di giocare ha creato il giocatore di basket universale e il suo stile unico è riuscito a far alzare la testa degli scout Nba, facendo realizzare loro per la prima volta che anche oltre oceano ci sono dei talenti da non sottovalutare. Insomma, se oggi abbiamo Luka Doncic è perché prima c’è stato Toni Kukoc.

Sulla esperienza in Nba Toni è molto chiaro: “Il ricordo più bello è stato vincere i tre anelli. Ovviamente non sapevamo che avremmo raggiunto il famigerato three-peat: si inizia ogni stagione senza sapere quale sarà il risultato finale. Diciamo che con quei Bulls avevamo tra le mani un meccanismo perfettamente oliato, sapevamo che quando giocavamo bene erano poche le squadre in grado di batterci. Nel 97-98 abbiamo saputo che sarebbe stato il nostro ultimo anno assieme dal primo giorno, quando Phil (Jackson, coach dei Bulls, ndr) si è presentato con il libretto degli schemi intitolato The Last Dance. Abbiamo sperato di riuscire a cambiare le idee della dirigenza, ma la decisione era stata presa”.

Per arrivare in Nba però è stato necessario passare dalle Olimpiadi del ‘92, quelle del famigerato Dream Team. “La prima partita contro gli Usa è stata un disastro - racconta Kukoc -. Non ho giocato bene e Michael e Scottie avevano deciso di difendermi dall’inizio alla fine per capire se mi sarei dimostrato un valido compagno di squadra. In più avevamo deciso di non sprecare troppe energie nella prima partita per conservare energie”.

Un altro punto di svolta è stato il Mondiale di Bormio dell’87, quando Kukoc con la maglia della Jugoslavia batte gli Stati Uniti segnando 37 punti con un impressionante 11 su 12 dalla linea dei tre punti, che fece alzare più di una testa oltreoceano. 

Bellissimi ricordi anche sulla sua esperienza italiana: “A Treviso mi hanno accolto subito a braccia aperte. Dal primo secondo mi hanno fatto sentire parte della squadra. Sono stati alcuni degli anni più belli della mia carriera e se non mi fosse arrivata la proposta dai Bulls probabilmente ci avrei pensato due volte prima di lasciare Treviso”, conclude Kukoc, attorniato dai suoi ex compagni di squadra della Benetton.