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Storia di Monica, tra identità e ferite ritratto di donna

Un bel ritratto di una donna complicata raccontato con toni minimalisti, arriva in sala, dopo gli applausi alla Mostra del cinema di Venezia e in altri festival internazionali, il 1 dicembre con Arthouse, il nuovo progetto editoriale di I Wonder Pictures dedicato al cinema d'autore.
    MONICA di Andrea Pallaoro, interpretato da Trace Lysette, (attrice che ha completato la transizione sessuale anche se sul passaporto ha ancora il nome maschile) e' una donna che, nonostante una fisicita' importante, una sensualita' forte, parla piano, quasi per non disturbare. La vediamo tornare a casa ritrovando quella madre, Eugenia (una commovente Patricia Clarkson) da cui si era allontanata adolescente perchè non si sentiva accettata nel genere sessuale che sentiva di abitare.
    Non ha neppure la certezza di essere da lei riconosciuta (la donna ha da tempo un tumore al cervello e lei fisicamente non e' piu' la stessa). Accolta da Laura (Emily Browning), la cognata con due figli piccoli avuti dal fratello Paul (Joshua Close), Monica cerca di entrare lentamente nella vita della madre assistita da un'affidabile badante. Certo che e' molto intollerante, difficile da gestire e in preda tra l'altro con una storia d'amore con un certo Jimmy a cui si dedica totalmente nonostante non sia affatto corrisposta. Si capisce poi che e' stata "una monella", come dice lei stessa, cosa che ha provocato il rifiuto della madre, ma ora si appoggia a lei nel suo letto come quella bambina che non e'piu' e che vorrebbe tornare ad essere per guarire tutte le ferite del suo passato.
    Andrea Pallaoro, con questo film molto bello e davvero empatico mette mano questa volta a un altro personaggio femminile ai margini, di quelli che piacciono a lui, come era gia' stato in HANNAH e MEDEAS. Mentre in HANNAH con Charlotte Rampling, Coppa Volpi alla Mostra di Venezia nel 2018, la protagonista ha fatto esperienza fisica ed emotiva di un evento traumatico, con cui non sa quanto tempo impieghera' per scendere a patti, in MONICA il background e' meno aspro, ma non piu' facile da superare.
    Questo quarantenne talentoso regista di Trento riesce a fare un cinema in cui le aperture narrative sono disseminate. Nulla viene davvero chiuso in una gabbia, tutto puo' trovare nuovi percorsi. Lui lo chiama cinema catartico, vale a dire che il percorso di lettura di MONICA e' splendidamente individuale, nessun muro. (ANSA).