Sono passati più di quattro anni da quella sera del 15 luglio 2016, quando un gruppo di militari turchi tentarono il colpo di Stato. Gli scontri, ad Ankara e a Istanbul, durarono tutta la notte, la popolazione fu invitata a scendere in strada contro i rivoltosi, i morti furono oltre 250, 2.200 i feriti. Alla fine il golpe fallì e ieri sono arrivate le condanne, una pioggia di ergastoli, in uno dei principali processi contro 475 ufficiali e piloti, 365 dei quali giudicati in regime di detenzione, che cercarono di rovesciare il governo di Recep Tayyip Erdogan.
Alla sbarra i militari che avevano organizzato le azioni nella base aerea di Akinci, , alla periferia di Ankara, che fu il quartier generale dei golpisti e dove l’allora capo di stato maggiore e attuale ministro della Difesa, Hulusi Akar, venne preso in ostaggio. Per 337 imputati un tribunale della capitale turca ha emesso condanne al carcere a vita, da scontare in regime di carcere duro. Tra questi ci sono molti ex alti ufficiali delle forze armate e diversi piloti dei caccia che la notte tra il 15 e il 16 luglio 2016 bombardarono alcuni dei luoghi simbolo delle istituzioni nazionali, tra cui il Parlamento e un’area vicina al palazzo presidenziale di Ankara. Tra i capi d’accusa il «tentato rovesciamento dell’ordine costituzionale» e il «tentato omicidio del presidente della Repubblica». Hasan Husnu Balikci, ritenuto l’uomo che ha sventrato con le bombe lanciate dal suo jet F-16 un’ala del Parlamento , è stato condannato a 79 ergastoli. Stessa pena per l’ex luogotenente Mustafa Mete Kaygusuz, accusato di aver dato gli ordini per i bombardamenti, e l’ex comandante alla base Nato di Incirlik, Bekir Ercan Van, che avrebbe fornito il carburante ai caccia. Mentre Muslim Macit che uccise 15 civili, dopo aver sganciato due bombe nei pressi del palazzo presidenziale, ne ha collezionati 16. Sono 198 gli imputati che hanno totalizzato complessivamente pene per 3.901 anni di carcere.
Il carcere a vita è stato inflitto anche ad almeno 4 civili, tra cui l’uomo d’affari Kemal Batmaz,dipinto da anni dalle autorità turche come uno degli anelli di collegamento con l’imam e magnate Fethullah Gulen, l’ex alleato di Erdogan accusato di aver orchestrato il golpe fallito e di cui la giustizia di Ankara ha chiesto ripetutamente e invano l’estradizione dagli Stati Uniti, dove è residente dal 1999. Batmaz, insieme a tre civili, considerati come predicatori, sono stati condannati a 79 ergastoli «aggravati», la pena più in voga dopo l’abolizione della condanna a morte nel 2004.
La repressione del governo Erdogan dopo il putsch ha portato all’arresto di quasi centomila persone e all’epurazione di oltre 140 mila dipendenti pubblici. Un pugno di ferro favorito dai decreti dello stato d’emergenza, durato due anni, e che secondo le opposizioni ha colpito anche migliaia di dissidenti estranei al tentativo di golpe e storicamente avversari di Gulen. I processi conclusi in relazione a quegli eventi diventano almeno 290, con quasi 4.500 persone condannate, di cui circa un terzo alla pena dell’ergastolo. Altri 9 processi sono ancora in corso, tra cui quello con oltre 500 imputati per i presunti atti eversivi della guardia presidenziale.