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Ucraina, ricostruzione a guerra in corso. Francia e Germania in pole, Italia indietro

Ricostruzione a guerra in corso. Per spiegare quest’ossimoro occorre tutta la perizia diplomatica di chi già da mesi ha iniziato a lavorare, prima in silenzio, ora con forme sempre più visibili, all’architrave del processo di ricostruzione in Ucraina mentre segnali concreti di una conclusione positiva del conflitto per Kiev, che sia per la sconfitta della Russia, o per il successo di un negoziato, sono ancora inesistenti.

Germania e Francia anche questa volta si sono mosse per prime, con le loro conferenze bilaterali rispettivamente a ottobre e a dicembre. Macron, in particolare, ha mobilitato 700 imprese e promesso un pacchetto robusto di garanzie statali. Nel frattempo il G7 ha lanciato la Piattaforma di coordinamento dei donatori e dopo la prima Ukraine Recovery Conference, che si è svolta lo scorso luglio a Lugano, un altro appuntamento multilaterale si terrà a Londra, a giugno.

L’Italia proverà a inserirsi in uno schema ancora molto frastagliato con la sua Conferenza bilaterale, in programma il 26 aprile alla Farnesina. Arriviamo dopo Parigi e Berlino, ma anche rispetto ad aziende di Paesi più vicini all’Ucraina, come Polonia e Danimarca, dobbiamo probabilmente recuperare uno svantaggio di partenza. In generale, e vale ovviamente per tutti e non solo per l’Italia, la prospettiva di lanciarsi su progetti di ricostruzione mentre la casa ancora brucia comporta oggettivi margini di rischio, quando ad esempio ancora non si è capito che ruolo avrà la Piattaforma dei donatori, se cioè dovrà solo coordinare gli aiuti o anche gestirne la ripartizione in appalti (sul modello della ricostruzione in Iraq), con quali regole le gare saranno bandite, quale utilizzo si potrà fare dei fondi russi congelati. Senza contare il complicato puzzle delle sfere di influenza, che dovrebbero coincidere con quelle di donazione, e che a Lugano ha visto assegnare all’Italia come prima ipotesi il Donetsk dove si combatte ancora.

Le due fasi

Le diplomazie europee stanno immaginando un impegno su più tempi. Il primo è quello del fast recovery, cioè, nelle zone uscite dall’occupazione russa, il ripristino delle infrastrutture critiche civili ed energetiche distrutte dall’offensiva, per il quale la Banca mondiale calcola un fabbisogno di 14 miliardi di dollari a fronte dei 411 totali per la ricostruzione (il governo ucraino a Lugano ha stimato 750 miliardi). Il secondo, più a lungo termine e con orizzonte almeno decennale, riguarda l'ammodernamento delle grandi infrastrutture, ma anche del sistema regolamentare e di mercato dell’economia, per promuovere parallelamente il processo di adesione dell’Ucraina alla Ue. Intervento da avviare nella parte occidentale non toccata dall’offensiva e nelle aree che progressivamente vengono riguadagnate ai russi.

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il fabbisogno per la ricostruzione

La Conferenza del 26 aprile

A poco meno di un mese, il programma della Bilaterale italiana è ancora da definire nei dettagli, così come le iscrizioni delle imprese sono ancora aperte. E questo impone un’accelerazione perché l’evento non deluda le aspettative. Per il governo italiano ci saranno i ministri Antonio Tajani (Affari esteri), Adolfo Urso (Imprese e made in Italy) e Giancarlo Giorgetti (Economia) e in chiusura è previsto l’intervento della premier Giorgia Meloni. Per l’Ucraina non ci sarà il presidente Volodymyr Zelensky ma al momento il programma prevede il primo ministro, Denys Shmyhal, il ministro degli Esteri, Dmytro Kuleba, e i ministri economici più impegnati sul dossier ricostruzione. La Commissione europea dovrebbe essere rappresentata da un commissario. È previsto l’intervento del presidente di Confindustria Carlo Bonomi e saranno coinvolte le istituzioni finanziarie internazionali (Banca mondiale, Fmi, Bers, Bei) oltre al polo italiano di supporto all’internazionalizzazione: Ice, Cdp, Sace, Simest.