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Utopie Spaziali e Balle Spaziali

In un recentissimo articolo di giornale si propone un reportage a metà tra il pettegolaio e il sociologico da Poundbury, «Nuova Arcadia o Atlantide» realizzata secondo i dettami architettonici dell'ex Principe di Galles oggi incoronato Re d'Inghilterra, Carlo III. Il quale come ci ricorda sempre l'articolo per lunghi anni si è dedicato a riflessioni ambientali e architettoniche raccolte nel 1984 nell'opuscolo A Vision of Britain per descrivere in dettaglio «edifici costruiti in modo che non oscurino il panorama circostante, stili che rispettino quelli della regione intorno, materiali locali scelti per non impattare l'ambiente». Il che parrebbe scaricato di peso dal pdf gratuito redatto dal geometra dell'Ufficio Vendite di qualche Brianza Green se appunto non lo si potesse ascrivere a cotanto influente personaggio fino a qualificarlo come Utopia Sociale al pari di tutte quelle che da Tommaso Moro alla ironica Laputa di Jonathan Swift e attraverso le esperienze socialiste di Robert Owen fino alla immancabile biblica Città Giardino. Versione ideologica novecentesca non a caso banalizzata da qualunque promozione condominiale o lottizzatoria. U-topia proprio perché alla lettera «non sta da nessuna parte» salvo nella testa dei proponenti progettisti ideologi. In buona o malafede è sempre tutto da capire.

Oltre la curiosità del leggere psicologie reali con la lente del sopralluogo dentro il luogo in cui si sono esercitate, c'è però tutto il tema dell'Utopia in sé da riguardare. Dobbiamo per forze sempre leggerla come simulazione di città-società perfetta, e criticarne i presupposti come fa implicitamente questo articolo su Poundbury, usando a titolo di dialettica politica la casalinga insoddisfatta dal regolamento condominiale escogitato dall'allora Principe di Galles, che impedisce l'accesso alle auto dei proprietari e lascia far troppo fracasso ai mocciosi? Ricorda un po' certe letture superficiali della tesi di Leonardo Benevolo secondo cui se l'urbanistica moderna discende direttamente dalle utopie sociali ottocentesche (anziché da qualche fulminante intuizione delle avanguardie artistiche), tutti i guai attuali si potrebbero ricercare nelle incongruenze degli angoli retti di Nuova Armonia, o nell'eccesso di abbaini della Città Giardino sfogliabile a catalogo. In realtà per leggere nel modo dovuto le utopie bisogna considerarle davvero per quello che sono, ovvero appunti-progetti, e fare esattamente quello che fa di solito qualunque storico o critico dell'arte: usarle per entrare dentro la testa dell'Autore utopista, ma saperne anche uscirne del tutto considerandone i percorsi sociali.

L'utopia urbana (anche quelle che l'urbano lo rifiutano insieme a complessità e contraddizioni proprio sdegnosamente sognandosi cristallizzate dentro il nulla) andrebbe vista come processo più che come progetto. Ovvero come qualcosa che innesca qualcos'altro e lo lascia andare per la sua strada, accogliendo volentieri tutte le signore che si lamentano di parcheggi e bambini spallonanti anche se l'utopia si chiamava «bambini invece dei parcheggi». Chi parla di fallimenti in fondo non è affatto un osservatore critico e consapevole, ma solo una specie di seguace credente convinto che davvero la lottizzazione in mezzo ai prati a forme geometriche misticheggianti, concepita dall'ispirato promotore profeta, fosse la Gerusalemme Celeste. Balle spaziali per gonzi altrettanto spaziali, anche se tutta la storia è punteggiata da esperienze del genere vissute esattamente così: il progetto che si realizza, la salvezza che si cerca e si trova. Ma se il processo spirituale può anche coerentemente seguire percorsi così, quando lo spirito si materializza al suolo, con muri, strade, contenitori fisici di relazioni sociali che quelle relazioni poi le condizionano enormemente, allora anche la fede più fervida e cieca dovrebbe vacillare. O meglio rifugiarsi dentro lo spirito lasciando che considerazioni più elastiche ed empiriche governino le pratiche quotidiane, e magari riservando a qualche rito simbolico il ruolo di interfaccia. Amen.

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