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Conferenza Stampa di presentazione del Padiglione della Santa Sede alla 18.ma edizione della Biennale di Venezia Architettura 2023

Intervento dell’Em.mo Card. José Tolentino de Mendonça

Intervento dell’Arch. Roberto Cremascoli

Alle ore 11.30 di questa mattina, ha avuto luogo in diretta streaming dalla Sala Stampa della Santa Sede, Sala San Pio X, Via dell’Ospedale 1, la Conferenza Stampa di presentazione del Padiglione della Santa Sede “Amicizia Sociale: incontrarsi nel giardino” alla 18.ma edizione della Biennale di Venezia Architettura 2023, che si svolgerà dal 20 maggio al 26 novembre 2023.

Sono intervenuti: l’Em.mo Card. José Tolentino de Mendonça, Prefetto del Dicastero per la Cultura e l’Educazione; l’Arch. Roberto Cremascoli, curatore del Padiglione della Santa Sede, l’Arch. Álvaro Siza, incaricato del progetto esecutivo (in collegamento da Porto); l’Arch. Emanuele Almagioni, Giacomo Borella, Francesca Riva (Studio Albori), incaricati del progetto esecutivo (in collegamento da Venezia).

Riportiamo di seguito l’intervento dell’Em.mo Card. José Tolentino de Mendonça e dell’Arch. Roberto Cremascoli:

Intervento dell’Em.mo Card. José Tolentino de Mendonça

La Santa Sede alla Biennale di Venezia

In coincidenza con il X anniversario dell’elezione di Papa Francesco, la Santa Sede torna alla Biennale di Venezia, essendo responsabile per l’organizzazione del Padiglione il Dicastero per la Cultura e l’Educazione, che qui rappresento. La coincidenza di questi due eventi apre alla possibilità di un dialogo che reputiamo importante: costatare come alcune delle linee principali di questo pontificato possono essere chiave di un dialogo con l’architettura contemporanea e convergere in una visione che assuma il rischio di pensare un futuro diverso. È proprio sul futuro - e sulla riflessione che a suo riguardo siamo chiamati a fare – che la curatrice generale della 18. Mostra Internazionale di Architettura, Lesley Lokko, ha voluto incidere, usando queste parole: «Noi architetti abbiamo un’occasione unica per proporre idee ambiziose e creative che ci aiutino a immaginare un più equo e ottimistico futuro in comune».

Possiamo dire che l’atteggiamento propositivo nella direzione di un futuro più giusto e solidale è universalmente riconosciuto nelle encicliche di Papa Francesco: Laudati si’ (2015) e Fratelli Tutti (2022). Sono ambedue testi che non solo ci aiutano a fare una diagnosi critica, precisa e sincera del presente, ma che si sfidano a sollevare lo sguardo, riscoprendo la capacità di sognare, con decisione, la profezia di un mondo migliore. Non a caso, tanti le considerano bussole di un futuro da costruire insieme.

Nell’enciclica Laudato si’, Papa Francesco parla di architettura e della sfida a non rispecchiare soltanto «lo spirito di un’epoca» dove domina la tecnica e la globalizzazione. Il messaggio del Papa di fronte alle difficoltà e alle contraddizioni del nostro presente storico è quello di non smettere di provare a «recuperare la profondità della vita» (LS n.113). Nell’enciclica Fratelli tutti, papa Francesco scrive in prima persona la seguente dichiarazione: «Tante volte ho invitato a far crescere una cultura dell’incontro, che vada oltre le dialettiche che mettono l’uno contro l’altro» (n. 215). Ora – ci domandiamo –, quand’è che l’incontro si fa cultura? Vale la pena di meditare sulla risposta offerta da Francesco: quando «ci appassiona il volerci incontrare, il cercare punti di contatto, gettare ponti, progettare qualcosa che coinvolga tutti» (n. 216). Non sono propriamente soluzioni magiche, ma è invece l’umiltà di accettare che il nostro amore per la vita ci chiede di viverla come un paziente laboratorio di ricerca, di rischi presi che poi diventano ponti, con l’ostinazione di non lasciare nessuno indietro né fuori.

È perciò sotto il segno dell’incontro che la Santa Sede torna, in questo anno 2023, alla Biennale di Venezia. Nei suoi dieci anni di pontificato che cadono proprio nel 2023, papa Francesco ha agito e parlato nel senso di coinvolgere tutti, senza dimenticare le periferie, i poveri e i rifugiati. Ciò costituisce già un'eredità per il futuro, attorno alla quale s’incontrano tutti coloro che desiderano un mondo più giusto e meno ferito dalle disuguaglianze sociali. Ciò è ben evidente nei due progetti di architettura in cui consiste la proposta del Padiglione della Santa Sede. L’architetto Álvaro Siza, che all’età di novant’anni si presenta come una riserva di giovinezza per il mondo, scommette su un’architettura che non si fissa tra quattro mura, ma si disloca. È un'architettura viva, figurale, «in uscita». Un intenso manifesto politico e poetico su cosa sia o possa diventare l’incontro tra gli esseri umani. Dall’atra parte la proposta complementare dello Studio Albori pone dentro l’architettura tutti i viventi, rendendoci tutti corresponsabili della nostra casa comune. Álvaro Siza e il collettivo di architetti dello Studio Albori sono la garanzia di proposte allo stesso tempo magistrali e innovative che fanno riflettere sul contributo dell’architettura, presentandola come pratica laboratoriale di futuro e alla fine non lontana dagli interrogativi tipicamente spirituali.

Penso che sia anche una opportunità straordinaria contare sulla partecipazione attiva, in questo progetto del padiglione della Santa Sede, dell’Abbazia Benedettina dell’isola di San Giorgio e del suo ramo non profit per le arti contemporanee che è la Benedicti Claustra Onlus. E oggi abbiamo il piacere di avere qui tra noi i responsabili, l’Abate Stefano Visintin e il dott. Carmelo Grasso.

In quanto Commissario del Padiglione Nazionale della Santa Sede e a nome del Dicastero per la Cultura e l’Educazione voglio esprimere la mia enorme gratitudine al curatore del nostro Padiglione, l’architetto Roberto Cremascoli, vero ideatore del percorso espositivo che certamente susciterà l’interesse di molti visitatori. Aggiungo il mio ringraziamento a tutta l’équipe scientifica e tecnica che lo accompagna e agli sponsor che sostengono finanziariamente il progetto. E naturalmente, una parola di gratitudine alla Sala Stampa Vaticana e a tutti i giornalisti per la collaborazione nel far conoscere al grande pubblico questa importante iniziativa della Santa Sede.

[00607-IT.01] [Testo originale: Italiano]

Intervento dell’Arch. Roberto Cremascoli

Buongiorno a tutti,

sono onorato di essere il curatore della partecipazione della Santa Sede alla 18. Mostra Internazionale di Architettura a La Biennale di Venezia, per questo ringrazio il Dicastero della Cultura e Educazione della Santa Sede, e il suo Prefetto Cardinale de Mendonça, il nostro commissario.

È sempre un privilegio partecipare ai progetti all’interno delle biennali veneziane, l’ho fatto già come curatore nazionale, oppure come progettista di allestimento o anche come espositore.

Nel 2016, sono stato infatti curatore nazionale per il Portogallo insieme a Nuno Grande.

Il Portogallo come la Santa Sede non possiede una sede permanente alle biennali di Venezia, diversamente dai tantissimi paesi presenti all’edizioni. Le sedi si concentrano per di più all’interno del recinto dei Giardini della Biennale e Arsenale. Credo che sia una risorsa in più, invece, quella di andare alla ricerca di un luogo per organizzare il padiglione nazionale perché ci mette in relazione con la città e il territorio lagunare e quindi di poter essere in qualche modo utili al territorio stesso. Utili per creare una relazione tra il territorio, i residenti e la biennale con il suo pubblico. Utili in tale maniera che come, appunto nel 2016 il padiglione nazionale portoghese fu ospitato all’interno di un cantiere edile fermo da anni a Venezia, proprio sull’isola di Giudecca: le case popolari a Campo di Marte (1986) progetto di Álvaro Siza. La nostra iniziativa nell’ambito di Biennale 2016 permise, a seguire la ripresa dei lavori, rianimando un corpo quasi in fin di vita. Attualmente, proprio a poca distanza dall’isola di San Giorgio Maggiore, il cantiere è in fase di realizzazione e presto conclusione. Saranno consegnati nuovi appartamenti a disposizione della comunità lagunare.

Parliamo ora di altre utilità a disposizione della comunità e i visitatori della prossima biennale. La partecipazione della Santa Sede è ospitata dalla comunità benedettina negli spazi gestiti dalla Benedicti Claustra Onlus nel monastero palladiano a San Giorgio Maggiore.

Prendersi cura del pianeta, come ci prendiamo cura di noi stessi, e celebrare la cultura dell’incontro sono gli insegnamenti tratti dalle encicliche di Francesco Laudato si’ (2015) e Fratelli tutti (2020), che si trasformano nella guida al percorso espositivo della partecipazione del Vaticano alla 18. Mostra Internazionale di Architettura La Biennale di Venezia 2023. Il monastero benedettino diventa così lo scenario di Amicizia Sociale: incontrarsi nel giardino, in risposta al tema Il Laboratorio del Futuro proposto dalla curatrice generale della mostra Lesley Lokko.

Nel convento si realizza la costruzione di un processo reale, la dimensione evocativa di un progetto che non è necessariamente pensato per definire uno spazio finito, bensì un modus operandi. Con le “installazioni” realizzate, ci siamo occupati di fare ordine mediante il disegno e la pratica di gesti semplici, prendendo spunto dall’uso quotidiano e dal modello di vita monastico.

All’origine del percorso il fotoracconto e videoracconto di Marco Cremascoli e Mattia Borgioli ci illustreranno il processo reale. il visitatore sarà accolto dall’installazione O encontro (L’incontro) di Álvaro Siza.

Una sequenza di figure si dispongono dalla galleria principale attraverso le sale fino a raggiungere il giardino. Ci accolgono a braccia aperte, in ginocchio o ci salutano. Dialogano con lo spazio incolume del convento, dialogano tra di loro, dialogano con i visitatori. Con la loro gestualità ci conducono fino all’incontro nel giardino, il luogo della contemplazione.

Il primo atto (del processo) in giardino è stato quello di Studio Albori, insieme al gruppo di ortisti Michela Valerio, Agostino Vallonzer e Riccardo Bermani (Associazione culturale About), di fare ordine nel giardino, integrando le essenze esistenti con le nuove piantumazioni dell’orto, composto da varie sezioni di ortaggi (per consumo conventuale o esterno), erbe aromatiche e officinali, erbe spontanee e fiori eduli (per gli spazi contemplativi). La disposizione delle colture si identifica con un elemento della natura, sole, terra, aria, acqua associando la parte commestibile delle piante al proprio elemento: i frutti che hanno bisogno di sole (pomodori), le radici e tuberi che crescono sottoterra, i fiori e i profumi che si muovono nell’aria, le foglie sono ricche d’acqua. Laddove è stato possibile, esiste una suddivisione dell’orto in aree geografiche per raccontare l’origine delle essenze: nella sezione frutti-sole sono presenti principalmente piante che vengono dalle Americhe e nella sezione radici-terra invece una predominanza di piante del bacino Mediterraneo (Europa meridionale, Medio Oriente, Vicino Oriente).

Il secondo atto (del processo) nel giardino trasformato in orto è eseguito su disegno e costruzione del collettivo di architetti Studio Albori (Emanuele Almagioni, Giacomo Borella, Francesca Riva) che, grazie allo sviluppo di una pratica multidisciplinare, frequenta la realtà di progetto coniugando le attività di architettura ai processi partecipativi ed ecologici. Attraverso il riuso del materiale tratto dalla rimozione di un’abitazione a Cortina d’Ampezzo, sono stati realizzati manufatti per ospitare il pollaio e altri che rendono possibile la sosta nell’orto, il riparo, l’incontro o semplicemente la contemplazione. Sono le costruzioni di un chiosco con pergola (limonaia), un parasole con sedute, il deposito dei semi con pergola e riparo, una serra.

Cito ora il testo di Mirko Zardini, che è il responsabile del progetto scientifico di Social Friendship: meeting in the garden:

Di fronte all’attuale sfacelo le ambizioni che dovremmo nutrire sono “smisurate”. Nello stesso tempo la complessità dei problemi e la comprensione dell’impegno richiesto suggeriscono prima di tutto una certa modestia, in particolare sul ruolo che l’architettura potrebbe svolgere (rinunciando al preteso ruolo salvifico che ama spesso ricoprire), e poi di ricorrere a tutte le occasioni, le azioni e strumenti disponibili, anche quelli meno appariscenti. Anzi, probabilmente è proprio ripartendo dalla apparente banalità del nostro mondo quotidiano, dalle nostre azioni giornaliere che potremmo riformulare la nostra visione del mondo. “Pensare il mondo come ambiente domestico”, suggerisce ad esempio Ina Praetorious, per sfuggire all’idea di una realtà intesa solo come mercato, e rivalutare quel lavoro domestico per secoli squalificato, ponendo nello stesso tempo fine all’idea patriarcale che lo sottende. In un momento, e in un’occasione come la Biennale di Architettura di Venezia, in cui la presenza dell’architettura è spesso legata più alle parole che ai fatti, si è preferito proporre alcune azioni modeste, avviare dei processi, presentare dei fatti concreti come coltivare un orto, riutilizzare dei materiali, creare un luogo per delle conversazioni. Non un proliferare di parole o attività, ma un luogo di pausa e di quiete, di silenzio, dove riflettere su come, e da dove, ricominciare.

Lo Studio Albori ci ricorda che nella prima riunione a San Giorgio, Josè Tolentino de Mendonça ci ha invitato a “far fare un passo indietro all’architettura” (solo un poeta poteva dare un suggerimento così delicato, di solito se ne richiede piuttosto uno in avanti).

Un passo indietro è quello del maestro Álvaro Siza, che ha preferito lasciare che gli spazi palladiani fossero tanto importanti quanto la sua istallazione che dialoga e incontra proprio quegli spazi.

[00608-IT.01] [Testo originale: Italiano]

[B0282-XX.02]